MESSINA – Una organizzazione criminale dedita al narcotraffico, capace di gestire l’attività di vendita al minuto di sostanze stupefacenti, anche all’interno del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Qui la droga veniva fatta illegalmente entrare, occultata in involucri all’interno di pietanze consegnate ad un detenuto, ritenuto al vertice della medesima associazione.
Questo quanto emerso dalle indagini che si sono concluse oggi con l’arresto di nove persone.
La droga sarebbe arrivata all’interno del carcere grazie alla moglie del detenuto. I due si sarebbero avvalsi di cellulari, già rinvenuti dagli investigatori e sequestrati. In particolare, secondo gli elementi raccolti, la donna avrebbe dato esecuzione, puntualmente, alle direttive del marito, mantenendo un costante ed aggiornato elenco dei crediti concessi; preparando le pietanze imbottite di stupefacente, per la successiva consegna all’interno del carcere, anche grazie al contributo inconsapevole di ignari corrieri.
L’organizzazione criminale, avvalendosi anche di una base operativa nel comune di Barcellona Pozzo di Gotto, avrebbe anche gestito, contestualmente, una fiorente attività di cessione all’ingrosso di stupefacente in favore di altro gruppo criminale, gerarchicamente strutturato, che gravitava principalmente nel comune di Milazzo e che si era gradualmente sviluppata anche in comuni limitrofi.
Accertati e documentati, in poco più di sei mesi, numerosi episodi di acquisto all’ingrosso dello stupefacente, che veniva trasportato dal comune di Messina verso la riviera tirrenica e suddiviso tra i pusher del clan per il successivo smercio al dettaglio.
Le attività di indagine si sono avvalse anche delle intercettazioni, telefoniche ed ambientali. Sono stati operati, in maniera apparentemente occasionale, sia arresti di soggetti deputati al trasporto e alla consegna degli ingenti quantitativi di droga, sia sequestri in significative quantità.
Rilevanti sono ritenuti i profitti economici che entrambi i sodalizi criminosi avrebbero maturato nel tempo e che sarebbero stati spesso impiegati per l’acquisto di gioielli o abiti di grandi firme o comunque per consentire ai sodali di mantenere uno stile di vita ampiamente superiore alle loro disponibilità economiche di origine lecita. Gli investigatori hanno, infatti, ricostruito puntualmente numerosi pagamenti di stupefacente che avvenivano sia a mezzo denaro contante sia con versamenti elettronici su diversi conti bancari nella disponibilità dei clan.
La Polizia giudiziaria ha effettuato perquisizioni domiciliari nei confronti dei destinatari dei provvedimenti. Le misure cautelari sono state adottate a conclusione di una articolata e complessa attività di indagine, nata nella Procura della Repubblica del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e, successivamente, diretta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica del Tribunale di Messina, competente a trattare le indagini in materia di criminalità organizzata dedita al narco traffico.
Ad eseguire l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per i nove soggetti finiti in manette, sono stati gli agenti della Polizia di Stato del Commissariato di pubblica sicurezza di Milazzo – coadiuvati da personale della Squadra Mobile, delle Volanti, della polizia scientifica della Questura di Messina, del commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto, nonché del Reparto Prevenzione Crimine Sicilia Orientale e unità Cinofile Antidroga della Questura di Reggio Calabria.
I nove arrestati di oggi devono adesso rispondere di detenzione e cessione a titolo oneroso di sostanze stupefacenti, nonché per aver costituito, a tal fine, due diverse associazioni criminali.
Quanto sopra, ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito e nel rispetto dei diritti degli indagati che, in considerazione dell’attuale fase delle indagini preliminari, sono da presumersi innocenti fino alla sentenza irrevocabile che ne accerti le responsabilità e con la precisazione che il giudizio, che si svolgerà in contraddittorio con le parti e le difese davanti al giudice terzo e imparziale, potrà concludersi anche con la prova dell’assenza di ogni forma di responsabilità in capo agli indagati.
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