MESSINA – I Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza hanno eseguito due decreti di sequestro emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Messina, su richiesta della locale Procura della Repubblica, Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di due soggetti, operanti sul versante tirrenico della medesima provincia, ritenuti socialmente pericolosi.
Gli odierni provvedimenti, estesi anche ai familiari dei due soggetti destinatari delle investigazioni economico-patrimoniali, originari, uno di Locri (RC), l’altro di Catania (CT), scaturiscono dalla ricostruzione del profilo di pericolosità qualificata delle persone proposte, come emerso dalle molteplici iniziative investigative coordinate dalla Procura peloritana e delegate alla Guardia di Finanza di Messina.
Il processo alla “mafia dei Nebrodi”
L’articolato e complesso quadro indiziario che ha portato alla recente esecuzione delle due misure di prevenzione, personali e patrimoniali, riflette il quadro probatorio emerso nel corso del processo alla “mafia dei Nebrodi”, le cui indagini furono coordinate dalla Procura di Messina; l’esito del quale, nell’ottobre 2022, aveva giudiziariamente accertato, l’esistenza e l’operatività della famiglia mafiosa dei “tortoriciani”, coinvolta nella commissione di plurime attività illecite nel territorio nebroideo.
Più in particolare, quel processo aveva consentito di ritenere giudiziariamente provata la operatività di tale compagine criminale mafiosa nella provincia peloritana, essendo, peraltro, stata dimostrata la specifica e peculiare propensione della stessa compagine alla commissione di illeciti nel remunerativo settore delle truffe comunitarie in agricoltura, per l’ottenimento indebito di fondi comunitari in danno della Politica Agricola dell’Unione europea.
Gli odierni proposti hanno avuto un ruolo determinante nella commissione delle molteplici condotte truffaldine e predatorie, in quanto gestori di due Centri di Assistenza Agricola (C.A.A.), dei quali uno ubicato a Tortorici (ME), l’altro a Cesarò (ME). Tali centri, anello debole della catena del controllo pubblico sull’erogazione dei fondi, rappresentavano l’anticamera da cui passare per presentarsi all’Unione Europea come legittimi beneficiari di quei contributi che, sulla carta, avrebbero dovuto sostenere gli agricoltori rispettosi delle regole e contrastare l’abbandono delle aree rurali.
Sulla scorta dei dettagliati elementi investigativi all’epoca raccolti, i militari del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Messina hanno accertato, per uno dei due soggetti destinatari dei provvedimenti, nell’arco temporale 2005/2014, l’esistenza di numerose condotte integranti i reati di associazione di tipo mafioso e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, violazione, quest’ultima, ascrivibile anche all’altro soggetto coinvolto, nei confronti del quale le manifestazioni di pericolosità si sono protratte nel periodo 2012-2016.
Parimenti, gli approfondimenti economico-patrimoniali hanno consentito di disvelare la disponibilità di beni, in capo ai soggetti investigati e relativi familiari, in misura sproporzionata rispetto ai redditi leciti dichiarati, dimostrando la stretta correlazione temporale tra i comportamenti antisociali documentati e l’illecito arricchimento accertato.
In definitiva, sulla base delle attività esperite, l’Autorità Giudiziaria di Messina ha quindi disposto l’odierna esecuzione di apposite misure di prevenzione patrimoniali, aventi ad oggetto, complessivamente:
- un compendio aziendale comprensivo dei relativi beni patrimoniali (attivo nel settore agricolo);
- 6 terreni, 3 quote societarie, 35 rapporti finanziari (10 polizze assicurative, 11 deposito titoli, 4 carte di pagamento/prepagate, 1 deposito a risparmio, 8 conti correnti, 1 somma derivante da disinvestimento di quote del fondo comune d’investimento);
- 1 autoveicolo e 2 quote di proprietà, relative a 2 fabbricati, nella disponibilità diretta e indiretta o comunque riconducibili ai proposti, per un valore complessivo di stima pari ad 1,5 milioni di euro.
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Nota
Quanto sopra, ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito e nel rispetto dei diritti dei due soggetti proposti, che, in considerazione dell’attuale fase, essendo il provvedimento di sequestro non definitivo e potendo sempre essere provata la loro non pericolosità fino alla irrevocabilità del medesimo provvedimento, con la precisazione che il giudizio, che si svolgerà in contraddittorio con le parti e le difese davanti al giudice terzo ed imparziale, potrà concludersi anche con la prova dell’assenza di ogni forma di pericolosità e di sproporzione fra i beni posseduti ed i redditi dichiarati o presunti.