“L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio

“L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio

Estate 1975. Una tredicenne con la valigia imbottita del suo piccolo mondo, percorre in silenzio una via crucis di passi arresi davanti a una porta.

La bambina non ha chiavi, né coraggio per bussare a quel rustico pezzo di legno alto il doppio di lei e degno nemmeno la metà. L’incubo sta per compiersi, ma non è ancora sera. L’oscurità spesso confonde il viaggio di ritorno della luna e improvvisa ombre a mezzogiorno.

Ricoperta dal suo vestitino borghese, la ragazzina entra per la seconda volta in quella casa a lei sconosciuta, da qualche parte un esile nervo di memoria sarà rimasto incastrato nella periferia di qualche venuzza della mente: sotto quel tetto è stata creatura al suo primo appuntamento col mondo, figlia di una madre poco materna per tenerla ancora con sé dopo l’ultima doglia.

La piccola donna sarà l’Arminuta, la protagonista del romanzo vincitore del Premio Campiello 2017 scritto da Donatella Di Pietrantonio, abruzzese di nascita come lo è il termine dialettalearminuta” : ritornata o meglio, restituita, ma a chi?

Al sangue che l’ha concepita, portata in grembo per non crescerla mai, prestarla a una coppia di parenti illuminati d’amore per quel frugoletto affamato notte e giorno di latte.

E adesso l’aspetta il viaggio al contrario nella casa piena di figli educati allo sgarbo, estranei di volto ma fratelli di sangue pronti a strappare quel fiore cresciuto nel giardino profumato di primavera.

Ogni equilibrio viene spezzato dal flusso di domande senza risposte che annebbiano il centro vitale dell’Arminuta. Cosa ne sarà di lei? Su chi potrà contare per sciogliere il nodo del dubbio? Adalgisa è ancora sua madre o forse non lo è mai stata?

“Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure”.

L’esperienza dell’amore lascia tracce incuranti del tempo nelle vene ancora in vita per quel soave istante. L’Arminuta riconosce il privilegio ricambiandolo con un afflato devoto.

Le pagine che da questo momento entreranno in scena saranno banco di prova per chi ride di uno ieri impegnato a fare scorta di se stesso.

L’elemento principe del futuro chiede udienza al gusto amaro del passato. Non è raro imbattersi nel rifugio segreto di un avanzo di fiamma sotto una coltre di cenere apparentemente fallita.

L’Arminuta sperimenta il naufragio del cambiamento che la condurrà lontano dal nido del quieto vivere dentro cui è cresciuta. Occhi fissi sulla nebbia mentale scuotono l’oro del Paradiso rimasto fuori dalla sua nuova casa, c’è un adesso impossibile da spiegare se non con l’urgenza di un fragoroso pianto.

I suoi nuovi genitori gridano povertà, intanto dentro quell’inferno sorge una luce di cui ci si può fidare, si chiama Adriana, ed è la sorella che abbraccia il suo abisso, accanto a lei tutto sarà condivisione di paure da dimezzare.

“Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate”.

L’arte di sopravvivere si affina solo se i colori viaggiano insieme alla tela protetti dalla cornice, uniti nell’acquerello fino a uno ieri debole, poi rinvigorito da giovani energie positive.

Fare la guerra al passato comporta il rischio di uscirne vittima innocente una volta più una, l’abbandono dell’Arminuta scrive da sé il saggio sulla replica gemella del destino. Quello che non vorresti.

La strada del perdono può non essere percorribile a causa del martirio emotivo sopra il velo dell’anima, l’anello della catena che più contribuisce a lacerare fino a diventare bandiera listata a lutto.

Lei è L’Arminuta, la Ritornata.

La ragazza dovrà fare i conti con un ventaglio d’amore incompiuto, quello della prima e della seconda madre, un nucleo familiare fittizio attorno a una tavola tarlata di menzogne. Mano dopo mano, l’incubo impara a disfarsi del volto di chi non ha fatto niente per distruggere l’oasi maledetta però bravissima a vincere le anime foriere di luce.

Non sarà stato semplice scrivere di dolore e di sacrificio, la lunga notte vissuta da una quasi bambina al debutto con le prime battute della Vita mette in ginocchio lo stupore del mondo, ecco la rivelazione: non è mai troppo tardi per ricominciare dai titoli di coda e riscrivere la sceneggiatura su misura delle invocazioni inascoltate.

L’Arminuta avrà le sue risposte nei fatti assai più eloquenti delle parole, troppe volte è stato vento il convegno delle labbra riunito nel vuoto delle promesse vane.

sara

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