“La stanza delle mele” di Matteo Righetto

“La stanza delle mele” di Matteo Righetto

Appartiene a tutti il sogno ancestrale di aver vissuto un lasso di tempo nel luogo che, all’improvviso, nelle ore di veglia scompare come per dispetto. Forse è solo figlio di una magia non riconosciuta al primo sguardo.

Gli elementi offerti dalla natura sono i principi del regno emerso quando la luna torna a far parlare di sé dietro il vetro opaco di una finestra.

Dentro e fuori casa, ci si chiede se un tetto di stelle sia sufficiente a farci sentire uomini liberi solo perché una porta aperta ha precluso le sbarre. Il mare, la montagna, un giardino offeso dalla neve, sono tutti luoghi sconosciuti alla teca di vetro dentro cui l’uomo si ripara da se stesso per non vivere mai.

Tutto questo non succederà al piccolo Giacomo Nef, 11 anni, una vita da orfano vissuta insieme ai suoi due fratelli a Daghè, sulle pendici del Col di Lana, nelle Dolomiti bellunesi. Sotto la severa custodia del nonno paterno, l’infanzia dei tre fratelli combatte contro le prime asperità della vita. Al piccolo Giacomo era riservata la punizione peggiore. Chiuso a chiave nella stanza delle mele selvatiche partecipando al processo di maturazione per ottenerne una deliziosa bevanda (il sidro), al bambino non restava che far volare il tempo intagliando il legno. Da quel lavoro certosino sgorgavano dal nulla marmotte, gufi, orsi, piccoli sudditi del suo regno scolpito.

Scolpire era la sua passione, e diventare uno scultore ligneo come gli artisti e maestri d’arte della Val Gardena era il sogno più grande“. Durante le pause della prigionia domestica, la mente andava oltre i tre giri di chiave messi a punto dal tutore cattivo.

Estate 1954. Sebbene il cielo sia un grigio portavoce di un temporale, il piccolo Giacomo viene mandato nel bosco nero, il Bosch Negher, per recuperare una roncola del nonno. All’improvviso, uno spasmo di terrore lo sorprende alla vista di un morto impiccato. Il cadavere gli dà le spalle, ma un lampo ne rivela distintamente i tratti, folgorato dalla paura Giacomo corre senza fiato e senza meta lontano da quella orribile visione. Sarà bambino ancora per poco, l’uomo dei suoi domani non scorderà il battito accelerato di quell’istante.

Da sempre la fama sinistra del bosco nero è stata deviazione obbligata dagli abitanti del posto. I racconti dei superstiti di guerra spargono fiumi di sangue negli anfratti della montagna.

Tanto avaro il destino con un bimbo che ha perduto la madre per malattia e il padre vive (o muore) disperso in Russia. Quanto livore per un bambino nato durante la guerra. Un tarlo fa rumore nella mente del vecchio Angelo Nef, sempre più convinto che Giacomo non sia suo nipote, perché crede sia stato concepito da una relazione fuori dal matrimonio della nuora.

Muoviti bastardo!
Per il vecchio questo era il vero nome del bambino. Ad ogni ingiusta punizione, Giacomo ritornava a fissare quel suo piccolo mondo dietro una porta chiusa a chiave dove solo i sogni avevano libero accesso. Attraverso la scultura modellava il suo ancora tenero ingegno, era nient’altro che esercizio esistenziale svolto con scalpello e martello nella stanza delle mele selvatiche. Le prime esperienze di solitudine, che nel tempo avrebbero ritagliato generose porzioni di bene da ogni malevolo eccesso. Crederci è sorpassare il primo metro di distanza dal banco di nebbia che ha sconvolto la cartina geografica dei nostri sogni.

L’omaggio alla montagna presenta la biografia non scritta di Matteo Righetto, insegnante di lettere, scrittore e collaboratore con l’Università degli Studi di Padova dove tiene seminari di “Scrittura e Letteratura del Paesaggio”. Non è la prima volta che le meraviglie della Natura e antiche leggende entrano nei suoi romanzi come bandiera di cultore del manto verde ai piedi del testimone celeste.

E il verso del cervo in amore risuonò ancora fra boschi, vallate e pareti dei monti. Un richiamo cavernoso di sfida, potenza e ardimento che sembrava provenire da un’era antica, nella notte dei tempi, per far capire agli uomini la loro infima condizione, la loro precarietà di fronte alla natura“.

Giacomo è ormai un uomo, un abile scultore di fama internazionale, libero dalle pareti umide della stanza delle mele selvatiche, eppure ancora imbrigliato nella rete del mistero incancrenito nella memoria. Il rifiuto della natura a farsi culla di gioco di un bambino, rimane l’unico colpevole di aver rubato i sogni ad un germoglio umano. Certo è che il Bosch Negher ha ancora tanto da confessare, e lo farà per dovere di riscatto agli anni di serenità sottratti all’incipit di una vita.

Nella vita non esistono grandi misteri. I misteri non sono che segreti, e i segreti tornano sempre a galla attraverso le leggende”.
Quando il mistero sarà stanco di nascondere la Verità, Giacomo potrà tornare a correre nel versante buono della Natura. Mai più fuggirà al richiamo del polmone verde della Terra.

Al termine della lettura ci si ritrova addosso un lecito assembramento di profumi intuiti (la terra bagnata dalla rugiada o il gusto aspro delle mele selvatiche), non per questo una tale varietà di odori e sapori sono meno felici di simulare una traslazione balsamica.

Per troppo tempo il respiro del giusto è stato trattenuto in esilio perché un uomo, una storia e un bosco nero hanno inveito contro un piccolo innocente. È decisamente fuori luogo pensare che un appuntamento sulla neve nera sia stato il factotum della storia intinta nel silenzio, la protagonista muta resta comunque la voce della montagna.

sara