La Celiachia: diagnosi e quadro clinico

La Celiachia: diagnosi e quadro clinico

La Celiachia è un’infiammazione cronica dell’intestino tenue, determinata dall’ingestione di glutine, un complesso proteico presente in alcuni cereali (frumento, segale, orzo, avena*, farro, kamut) e in particolare la prolamina, una delle frazioni proteiche che costituiscono il glutine  è la responsabile dell’effetto tossico per il soggetto celiaco.
La prolamina del frumento viene denominata gliadina, mentre proteine simili, con il medesimo effetto sul celiaco, si trovano anche in orzo, segale, farro, kamut ed avena.

La Celiachia è caratterizzata da un quadro clinico molto variabile, che va dalla diarrea profusa con marcato dimagrimento e gonfiore e crampi addominali, a sintomi extraintestinali correlati al malassorbimento, come per esempio comparsa di anemia e mancanza di vitamina B12, oppure manifestazioni quali cefalea oltre che l’associazione con altre malattie autoimmuni; non trattata può portare a complicanze più gravi, come il linfoma intestinale.

A differenza delle allergie al grano, la Celiachia è determinata esclusivamente dall’ingestione del glutine e non dal semplice contatto epidermico.

Negli ultimi anni il numero delle diagnosi è letteralmente raddoppiato grazie anche alla maggior attenzione che i medici hanno rivolto all’intolleranza al glutine; da malattia rara, la cui insorgenza era limitata alla prima infanzia si è trasformata in poco tempo in una condizione di frequente riscontro, con possibili manifestazioni in ogni età della vita, inclusa quella geriatrica e a volte diagnosticata in soggetti con sintomi appena sfumati o del tutto asintomatici sul piano clinico.

La patologia, come tutte le malattie autoimmuni, riconosce un’eziopatogenesi multifattoriale, risultato dell’interazione tra fattori genetici ed ambientali.

La diagnosi di celiachia viene effettuata attraverso 2 passaggi: analisi del sangue, andando a ricercare la presenza di anticorpi anti-transglutaminasi (Ac anti-tTG), anticorpi anti-gliadina (AGA), anticorpi anti-endomisio (EMA), e biopsia dei villi intestinali, indispensabile per l’accertamento della patologia: si tratta di un’analisi invasiva che si effettua prelevando dall’intestino tenue parti di tessuto che saranno poi analizzate tramite esame istologico per valutare le lesioni ed il livello di atrofia dei villi intestinali.
Nel soggetto celiaco l’ingestione del glutine attiva in maniera anomala il sistema immunitario che risponde rifiutando il glutine e danneggiando l’intestino; le pareti dell’intestino (ossia la mucosa) sono formate da miliardi di villi, piccole strutture sottili e allungate che formano tra di loro delle anse. Questa particolare conformazione permette l’assorbimento delle sostanze nutritive.

Nei celiaci la reazione della mucosa intestinale appiattisce queste anse e causa quindi malassorbimento. Si dice infatti che i villi si “atrofizzano”, ossia la mucosa si appiattisce e non fa più il suo lavoro di assimilazione dei nutrienti (ferro e altri minerali, vitamine, zuccheri, proteine, grassi, etc).

Nel momento in cui è accertata la patologia, il soggetto celiaco adotterà un’alimentazione priva di glutine che porta ad un rapido miglioramento; è fondamentale però che oltre all’esclusione di questa proteina si faccia molta attenzione ai possibili rischi di contaminazione accidentale che spesso si può verificare.

Un altro fattore importante da considerare è che negli ultimi tempi sta dilagando la moda dei cibi gluten-free: un prodotto su tre viene infatti acquistato da chi non è celiaco e che pensa in realtà di dimagrire o guadagnare benessere, ma è un falso mito perché nessuna ricerca scientifica dimostra i vantaggi per la salute erroneamente attribuiti alla dieta senza glutine per chi non è celiaco.

In collaborazione con la dottoressa Federica Provenza, biologa nutrizionista.