Apri lo zaino, esci l’astuccio di Dragon Ball, i libri e quell’esile voglia di passare il pomeriggio a studiare; passa mezz’ora, poi altri dieci minuti, guardi il diario e finalmente ti decidi ad iniziare.
D’improvviso però, mentre sei perso a capire quante mele restino a Mario con le divisioni, vieni ipnotizzato da una serpentina di eroi con i calzettoni e subito ecco che i compiti probabilmente aspetteranno: le pennellate di Del Piero, i gol senza senso di Totò Di Natale, la mostruosità di Cavani, il Fenomeno, l’iconicità di Totti, le notti magiche del Milan in Champions, il magico Catania degli argentini.
Da quel distratto pomeriggio di studio, molti di noi sono stati affetti da una dipendenza infrenabile, una droga a cui è impossibile dire no, semplicemente e in pochissime parole: la Serie A.
Buon compleanno Serie A
Il massimo campionato italiano spegne oggi 95 candeline e quindi amici di Newsicilia, vi invitiamo a proseguire in questa festa calcistica, rivivendo i momenti più emblematici della nostra amata e, a volte odiata, Serie A.
L’inizio di tutto
Era il 6 ottobre del 1929 quando prese il via, con il format tuttora in vigore, il primo Campionato di A con un girone unico, conclusosi il 13 luglio 1930 con la vittoria dell’Ambrosiana guidata da Arpad Weisz.
Una formula che permise di ricucire quello strappo nello Stivale, tra Lega Sud e Nord, riuscendo in una seconda Unità d’Italia, sancita a suon di gol e scarpette usurate.
La caduta di Superga
Mentre le tre grandi dell’asse milano-torinese erano intente a spartirsi anno dopo anno il campionato, tra il 1943 e il 1949, entrarono a gamba tesa dei cavalieri in maglia granata, fedeli ad un unico grande stendardo: il Grande Torino. L’ascesa e la tragica caduta di una formazione invincibile in grado di vincere 5 titoli nazionali consecutivi.
Ma forse da lì su qualche Dio del calcio era geloso dell’aura divina che avvolgeva quella squadra, decidendo da un giorno all’altro -il 4 maggio 1949– di privare quei terrestri del fuoco prometeo.
L’aereo che trasportava l’intera squadra, di ritorno da una amichevole con il Benfica giocata a Lisbona, andò a infrangersi contro il muraglione posteriore della basilica di Superga, portando alla morte tutti i passeggeri.
“Sai perché mi batte il corazón?“
Il terzo giorno il Napoli comprò Maradona, dal vangelo secondo Diego. Era il 5 luglio 1984, quando Dio decise di mostrarsi agli uomini, ricoperto di riccioli e dotato di un sinistro non di questo mondo.
Accolto da 80mila “fedeli partenopei”, El pibe de oro non fu un semplice calciatore ma qualcosa di più, capace di radicalizzarsi nella provincialità dei quartieri azzurri, trascinando di prepotenza il Sud nel tavolo dei Grandi, in un danzante ossimoro di genio e sregolatezza, tra peccati umani e miracoli paradisiaci.
Diego Maradona in Azzurro è stata la storia di un ragazzino povero accolto da cittadini poveri, in un parallelismo tra i polverosi quartieri di Buenos Aires e il furore dei vicoli di Spacca Napoli, un passo della Bibbia interpretato e ri-interpretato, che divide ed unisce i fedeli.
Perché dietro quel controverso Dios, resta l’immagine di un ragazzino riccioluto che da un momento all’altro si ritrovò con lo scettro in mano, incoronato da chi lo amava e destituito da chi lo invidiava.
Le sette sorelle
Maglie esageratamente larghe, capelli lunghi domati da fascette, fango sul volto, combattenti di un calcio ormai morto. Tra gli anni 90′ e i primi del duemila, il calcio italiano ha vissuto uno dei suoi apici inarrivabili, in un girone saturo di talento e classe, in un’era nostalgicamente romantica nel nome delle Sette Sorelle.
A questo speciale tavolo di poker sedevano: Juventus, Inter, Milan, Roma, Lazio, Parma e Fiorentina. Ad ogni mano, ognuna delle formazioni estrae il proprio asso, spartendosi di volta in volta le fiches: il tridente del 96 composto da Vialli, Ravanelli e un giovanissimo Del Piero;
Il sogno Inter costruito da Moratti tra le insensate giocate di Ronaldo, la sensibilità di Recoba e l’amore eterno di Javer Zanetti; l’Impero di Berlusconi che conquistò l’Italia e il mondo, siglato nelle reti dell’asse Sheva- Inzaghi e radicato nelle colonne di Maldini, Gattuso e Seedorf.
E poi ancora: il dominio romano con il campionato del 2001 conquistato da Francesco “Cesare” Totti e gli anni prima con i trionfi biancocelesti in Serie A e in Europa; il doppio sigillo del Parma in Coppa UEFA ed infine il ritorno in Champions della Fiorentina sotto i colpi di mitra di Gabriel Omar Batistuta.
Calciopoli
Tra quella costellazione di sogni, quel magico pallone si infangò troppo, con melme insolubili con lo sport, tra inchieste e retrocessioni.
Nell’estate del 2006 non si parlò d’altro che di Calciopoli, uno scandalo ornato di scommesse e partite vendute che si concluse con i rigidi verdetti: retrocessione in Serie B della Juventus e pesanti penalizzazioni per Milan, Lazio e Fiorentina.
Oltre ai club furono severamente puniti anche dirigenti e arbitri della federazione coinvolti.
Il colpo del decennio
E arriviamo infine in era moderna, quando un marziano decise che era tempo di lasciare il segno anche nel Bel Paese.
L’uomo che pochi mesi prima si era preso l’applauso dello Stadium per una magia in rovesciata, l’attaccante più prolifico degli ultimi 20 anni, il secondo alieno insieme a Messi, il Mister Champions League: Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro alla Juventus , il colpo del decennio racchiuso in una firma da oltre 100 milioni di euro.
In maglia bianconera, Cr7 è stato un’autentica macchina di gol e vittorie con 101 gol in 3 anni, di cui 81 solo in campionato, regalando emozioni e qualità in Italia.
L’unico rammarico resta l’inarrivabile conquista europea, obiettivo primario della Vecchia Signora ma su cui non è stato possibile costruire una squadra adatta alla vittoria finale, nonostante esserci andata vicinissima.
Quella magica rimonta contro l’Atletico Madrid del Cholo Simeone, ed indovinate con tripletta di chi, quello che Caressa definì il “Re” in quella notte di Torino: Re Cristiano, una favola a metà.
Fonte foto: Lega Serie A