Campionato europeo di calcio, il parere del prof. Cazzetta sulla nazionale italiana

Campionato europeo di calcio, il parere del prof. Cazzetta sulla nazionale italiana

È in dirittura di arrivo il campionato europeo di calcio, per questo abbiamo chiesto al prof. Alfio Cazzetta un parere sulla nazionale italiana.

Non ho molta fiducia nelle possibilità della nostra nazionale; non si può sempre sperare nell’aiuto della fortuna, come è stato per la scorsa edizione. Erano già pronti interventi infuocati nei confronti della nostra nazionale, ma quel rigore parato ha cambiato le sorti di un campionato fortunoso; ma ciò ne nasconde il malessere“.

È un poco azzardato parlare di malessere nel calcio che è lo sport più popolare nella nostra nazione.

“Non è facile, né semplice parlare di malessere nel calcio italiano, senza destare la reazione di chi fa del calcio l’argomento quotidiano, ma è visibile a tutti l’andamento altalenante della squadra nazionale, del resto non sono solo io a dirlo, ma anche autorevoli personaggi della stampa specializzata”.

Penso che sarebbe meglio dire qualcosa di più preciso e chiaro, per poter sostenere la sua affermazione.

“Non si deve porre l’attenzione su un problema, poiché il male interessa tutto ciò che circonda questo sport. È certamente un compito difficile anche perché far capire a chi segue questo sport con fanatismo cieco, non solo da parte di una grande fetta di tifoseria, ma anche di chi dovrebbe essere più critico, cioè i ‘media’, che fanno prestissimo a cambiare, quando il giorno prima sarebbero stati pronti ad infierire su dirigenti, tecnici e sponsor. Escluderei l’allenatore della nazionale che è costretto ad operare con ciò che vi è disponibile. Purtroppo il mondo del calcio racchiude in sé, tutti gli aspetti positivi e tutti i mali dello sport odierno. Su ‘Guerin Sportivo’ del 24 dicembre del 2022, ho letto un articolo di Daniele Saccucci dal titolo ‘L’Italia del calcio non produce più talenti’. Il concetto è chiaro e coinvolge non solo il settore tecnico, ma anche quello organizzativo. Forse l’intervento di Saccucci è stato tardivo. A volte una sconfitta è più importante di una vittoria immeritata. Ogni volta la stampa si è lamentata del rendimento della nazionale e prontamente è stata zittita da interessi superiori ai quali la normalità delle persone, non è possibile accedere. La vittoria rocambolesca del campionato europeo, ha fatto più danno di una sonora sconfitta. Il malumore diffuso, rientra nell’alveo della normalità perché l’attenzione delle persone viene deviata verso le partite di campionato o anche per non turbare gli assetti ‘politici’ del sistema. I tifosi dimenticano presto perché l’attenzione viene spostata sull’andamento del campionato“.

Dalle sue parole però sembra che il discorso non finisca qui, ma che vi siano ben altri problemi che pesano sul calcio e sulla sua organizzazione tecnica e strutturale.

È proprio così. È il sistema che bisogna rivedere, poiché la possibilità finanziaria vi è, probabilmente viene utilizzata male. Per esempio non si investe sulle fasce giovanili e sulla formazione dei futuri talenti. È meno dispendioso comprare atleti già fatti: piuttosto che ‘sprecare’ soldi nel lento e lungo percorso della formazione. Le problematiche partono sin dall’attività giovanile e investono sia l’organizzazione federale e l’impiego delle enormi risorse finanziarie, ma anche e principalmente il settore tecnico che per uno sport così popolare, denuncia carenze metodologiche. Proprio perché molto popolare, nel calcio si verifica una grande carenza di cultura da parte dei tecnici e degli istruttori. I corsi per formatori che poi debbono lavorare con i ragazzini, sono aridi sistemi sempre uguali, in cui viene negata l’inventiva, il contraddittorio, così che questi non riusciranno a trasmettere, per la povertà della loro formazione rigido e schematica e per l’aridità dei loro schemi mentali. Solo pochi beneficiano veramente degli aspetti tecnico-tattici e metodologici, mentre la massa, apprezza solo il gol. Come dice Saccucci: una tradizione calcistica che ha smarrito se stessa. Non è un problema da poco, ma non è giustificato che altri Paesi, anche attigui al nostro, sfornino atleti di gran classe, mentre il nostro langhe, pur avendo da spendere somme stratosferiche che alla fine non danno i risultati sperati. Proprio perché molto popolare, nel calcio si verifica una grande carenza di cultura da parte dei tecnici e degli istruttori. I corsi per formatori che poi debbono lavorare con i ragazzini, sono aridi sistemi sempre uguali, in cui viene negata l’inventiva e il contraddittorio, così che questi non riusciranno a trasmettere, per la povertà della loro formazione rigido e schematica e per l’aridità dei loro schemi mentali“.

Certamente ciò che lei denuncia mi sembra importante, ma anche molto problematico da risolvere. Se mi sembra difficile poter entrare nella struttura organizzativa, credo che in effetti, le scuole calcio sono le organizzazioni tecniche che operano con molta efficacia in tutta la struttura nazionale e che formano moltissimi giovani per il futuro del nostro calcio e della nostra nazionale.

Si, è vero che le scuole calcio sono molto attive, ma non tutte operano con efficacia nella formazione di nuovi talenti. Oggi, fin dalla giovanissima età, i bambini vengono portati nelle scuole calcio da genitori spesso ingombranti e troppo interessati che il proprio figlio venga messo in evidenza rispetto agli altri bambini. A volte sembra che fra il genitore e l’istruttore si instauri una sorta di rivalità o di compiacente, tacito accordo. È nella figura dell’istruttore che bisogna porre l’attenzione. Alla buona formazione dei pochi, si sovrappone la poca cultura dei molti, sia nel riparto tecnico che in quello dei preparatori. Fra i tecnici bisogna distinguere gli ex calciatori che spesso credono di poter risolvere i problemi con le proprie conoscenze personali di atleta di buon livello, mentre è più probabile che il buon tecnico possa diventarlo chi non essendo stato un bravo atleta, ha lavorato e studiato per risolvere i problemi. Ma egli deve anche avere la conoscenza delle problematiche giovanili. Per quanto riguarda il preparatore, sarebbe auspicabile che egli fosse un laureato in scienze motorie per avere una base da cui partire per lavorare con bambini e ragazzi. Il bambino deve avere stimoli adeguati alla propria età, senza emulare questo o quell’altro campione della disciplina. Se non vi sono questi requisiti, la scuola calcio risulta solo un posto dove fare passare il tempo ai ragazzini, senza alcuna pretesa di tirarne fuori il talento sportivo. Il lavoro con i bambini e con i ragazzi non deve essere la fotocopia in formato ridotto, di ciò che fanno gli atleti adulti, anche di alto livello. Del resto, anche nelle categorie di alto livello, si assiste ad esercitazioni, spesso con molta approssimazione e svogliatezza“.

Ma secondo lei, cosa mancherebbe alla scuola calcio perché possa adempiere al suo ruolo?

Nel lontano passato i ragazzini per fare sport, in modo estemporaneo, usavano le strade (allora si poteva fare perché il traffico era scarso) e le piazze di periferia, oppure erano ospitati negli spazi interni degli oratori. Quanti campioni sono nati così. L’oratorio era il centro di riunione e bambini e ragazzi, esprimevano la loro fantasia ed il loro estro che, più avanti, avrebbero evidenziato il talento, il fuoriclasse. Seguiti amorevolmente e con i poveri mezzi a disposizione, imparavano dai più grandi ciò che dopo si sarebbe perfezionato; e ciò senza bisogno di grandi soloni dello sport. Era un modo come un altro di riempire di esperienze e di lavoro vero, espresso nelle varie attività di gioco (resistenza, velocità, coordinazione, forza, ma anche inventiva e la rapida soluzione dei problemi). Nell’oratorio si faceva un’attività polisportiva, che dava loro tutti gli stimoli adatti per riempire il proprio “contenitore naturale” di polivalenza che nel futuro, si sarebbe espressa in azioni tecniche di pregiata fattura. Non ci vuole molto a capire ciò che sto affermando. Basta osservare le esercitazioni che si fanno generalmente nella scuola calcio, per rendersi conto che tutti fanno gli stessi esercizi degli atleti maturi e di alto livello. Una polisportiva è ciò che ci vuole per dare a tutti i bambini moltissime soluzioni motorie.

Una persona che aveva capito le difficoltà dei giovani tecnici è stato Alessandro Failla ed il suo progetto per l’attività giovanile. Egli, dottore in scienze motorie, per molti anni direttore del settore giovanile, quando il Catania era in serie A, ebbe l’idea di inserire nei vari gruppi del settore giovanile (inclusa la scuola calcio), studenti del secondo e terzo anno di scienze motorie, prima per il tirocinio previsto dall’università e poi proseguendo con coloro che davano la disponibilità a continuare affiancando gli istruttori già presenti, nella preparazione dai bambini, alla “primavera”. Lo scopo di Failla era quello di mettere i giovani tecnici e preparatori, sotto la direzione di un personaggio di grande e larga esperienza. Dette a me questo incarico, poiché venivo dall’atletica ed ero stato tecnico e preparatore di basket, preparatore di tennis esperto di attività subacquee e docente di metodologia, ma principalmente, formatore nella vecchia Scuola dello Sport del CONI. Il suo obbiettivo era quello di dare ai propri tecnici una formazione di più ampio raggio, da applicare nella preparazione delle fasce giovanili del Calcio Catania (un linguaggio nuovo e ad ampio raggio, per dar vita ad un  lavoro che non fosse la brutta fotocopia del lavoro dei grandi). Un linguaggio e un modo di vedere la formazione, più ampio. Era la prima volta che gli allenatori e preparatori, insieme, presenziavano attivamente alle riunioni tecniche. Una voce nuova, un nuovo linguaggio e un modo nuovo (per il calcio) di vedere le cose. L’idea di Failla fu una grande esperienza per tutti i tecnici del settore giovanile. La cosa poi non proseguì per le vicissitudini della squadra, ma ciò non toglie il fatto che l’idea del dott. Failla era veramente una strada che bisognerebbe seguire per portare un grande miglioramento nella conduzione dell’allenamento calcistico giovanile. Bisogna rispettare le fasi di sviluppo fisico e la maturazione di organi ed apparati, nonché delle diverse capacità di apprendimento di ogni singolo allievo. È un compito difficile e che richiede la conoscenza dei bambini e la competenza nell’uso dei mezzi di allenamento. È proprio in questa fase che bisogna dare gli stimoli più vari e non fermarsi solo a quelli che interessano la ristretta tecnica della disciplina, ma tanti, tantissimi. Sta proprio qui la maggior parte del malessere che attanaglia il nostro sport nazionale. Logicamente vi sono realtà diverse nelle scuole calcio italiane, dove si può fare tutto o parte di tutto ciò di cui abbiamo finora parlato“.

In definitiva lei afferma che nell’aspetto generale, nel calcio vi è, tutto sommato, una carenza di cultura sportiva.

Purtroppo, si. Vi è la cultura non cultura che appare evidente specie nel settore della preparazione fisica, ma che si deve estendere anche agli allenatori, come ha provato Alessandro Failla al Calcio Catania, dove si era formato un gruppo che settimanalmente si riuniva affrontando vari argomenti in cui lui fungeva da moderatore ed io dirigevo l’aspetto metodologico“.



Perché ritiene importante la compresenza del tecnico e del preparatore, su argomenti che interessano prevalentemente l’aspetto metodologico?

Ritengo importante che l’allenatore, capo dell’équipe tecnica, che conosca l’operato del preparatore e di tutta l’équipe tecnica e che i componenti sappiano collaborare. Normalmente l’allenatore decide la direzione dell’allenamento, pertanto è importante che egli conosca le basi della metodologia non solo tecnica, ma didattica e di preparazione fisica, onde non incorrere in errori. Da quando in CONI ha smesso il programma che si attuava nei corsi di formazione per gli istruttori di base, la situazione è degenerata e ogni federazione si è creato un proprio spazio ed è iniziato il caos metodologico.

La formazione della maggior parte dei tecnici e preparatori, è deficitaria per il compito loro affidato. Il lavoro da essi effettuato non è adeguato o ben applicato, per cui, vista la variabilità della crescita e maturazione dei piccoli allievi, è facile sbagliare e che il ragazzino precoce venga additato come un futuro talento. La sua attenzione si concentra su questo e magari tralasciando il vero talento. I veri probabili talenti, messi da parte, senza le giuste accortezze e facendo molta “panchina”, non hanno la possibilità di emergere. Nel primo caso vi è il crollo delle aspettative, per vedere in breve tempo crollare la struttura, mentre per coloro che sono stati messi da parte, la mortificazione precoce delle loro capacità inespresse (la panchina non dà il giusto insegnamento). Ecco allora prendere volto un altro punto negativo in cui versa il calcio giovanile e pertanto la mancata crescita di possibili talenti.

Uno dei problemi più importanti è come ottenere una migliore efficacia didattica durante i corsi di formazione di nuovi tecnici. Ciò che si ricerca è un buon grado di competenza, ma principalmente una grande motivazione. L’allenamento non è (e non può essere) uguale per tutti. Bisogna distinguere tra l’allenamento fisico e tecnico (individuale), dall’allenamento di squadra (collettivo) poiché ogni atleta è diverso da un altro anche se fondamentalmente uguale“.

Cosa proporrebbe, sommariamente, di fare per ottenere dei buoni risultati? In definitiva, come preparare?

Il preparatore non deve agire solo con gli stessi esercizi e sugli stessi punti che utilizza l’allenatore, perché ciò tenderebbe ad aumentare la pressione esercitata sugli stessi punti, con un aumento pericoloso di tecnopatie. La maggior parte degli infortuni che si registrano, potrebbe essere addebitata a ciò. Oggi purtroppo, sotto la spinta del modello di prestazione, si tende ad operare in modo scriteriato con attività speciali e specifiche, senza attuare una preparazione generale che viene ritenuta, a torto, una perdita di tempo. Lavorare tutti allo stesso modo, può determinare un eccesso di carico per alcuni; è un modo come un altro di “uccidere” un grande numero di giovani. Non dovrebbe essere difficile focalizzare gli obbiettivi fondamentali che ogni tecnico dovrebbe porsi sempre: la ricerca della migliore prestazione (nei tempi che la situazione richiede), lo sviluppo dell’allenamento a lungo termine (cioè la possibilità incrementale nel tempo) e la salute psico-fisica dell’atleta (punto più importante), specie se di giovane età. La moda dell’allenamento integrato ha fatto più male che bene. Ancor peggio è la moda indiscriminato del lavoro intermittente; spesso si pensa di fare un lavoro, mentre in effetti se ne sta facendo un altro. Spesso si sente dire di fare un lavoro aerobico, mentre in realtà è un lavoro lattacido. È estremamente difficile controllare un allenamento integrato, ma se si vuole fare, è necessario stabilire con l’allenatore l’obbiettivo ed il tipo di lavoro e poi stabilire il come e quanto, controllando, passo passo, l’esecuzione del lavoro. Del resto anche lo stesso lavoro intermittente, non è proponibile nei giovanissimi.

Vi sono dei punti che bisogna chiarire nella preparazione del giovane calciatore. Si ha molta titubanza a fare eseguire la corsa, o se si fa, sempre con il pallone ai piedi, oppure correre per cinque minuti facendo avanti e indietro nella parte corta del campo, senza un controllo particolare. Se l’obbiettivo è un lavoro aerobico, la durata della corsa deve essere adeguata all’età e l’intensità deve essere individuale e non tutti assieme; magari a gruppetti omogenei. Correre con la palla al piede è un esercizio tecnico che non ha niente a che fare con il lavoro aerobico che ha un’altra funzione. L’unico problema può essere la monotonia per chi è andato ad allenarsi per giocare a calcio, ma è un lavoro che bisogna fare e con parecchia serietà. Per superare ciò, il preparatore ha a disposizione parecchi accorgimenti: corsa di regolarità a gruppi omogenei, mettendo nel percorso dei tratti con ostacolino, con slalom, corsa all’indietro, laterale ecc, ma dove l’obbiettivo principale è la corsa continua aerobica. Oggi il controllo può essere effettuato con facilità, mediante piccoli cardio-frequenzimetri che sono alla portata di tutti.

Una particolare cura deve essere data alla fase di riscaldamento che deve essere crescente e non lasciata al caso. Di solito si pone l’attenzione sui primi e poi la distrazione per i successivi; non è certo questo il modo di operare. Riposare dopo la partita rigenera solo mentalmente, ma dal punto di vista fisico e strutturale, rallenta la rigenerazione che un lavoro aerobico, mobilità e stimoli leggeri, invece permette. In definitiva, l’allenatore della nazionale non può fare miracoli, perché deve lavorare sul “materiale umano” a disposizione“.

Come si può fare formazione, quando anche nel settore giovanile vengono inseriti giovani provenienti dai paesi dell’Est ed Africani?

Costa meno comprare giovani che “costruirli”. Ecco perché, alla fine, i nostri giovani talenti non trovano posto per esprimere il loro talento“.

Riassumendo:

  • punti negativi

1) Acquisto di giovani calciatori, dall’Africa o dai Paesi dell’Est
2) Attività “ingessata” nelle scuole calcio
3) Tecnici ed istruttori con poca esperienza per lavorare con bambini e giovanissimi
4) L’osservatore per i probabili talenti non sempre è all’altezza del compito
5) Assenza degli oratori e delle parrocchie
6) Metodologia non adeguata alle varie fasce di età
7) Troppa fretta nella gestione dei ragazzini
8) L’inserimento affrettato in prima squadra
9) Miscela di lavori nella stessa giornata
10) Controllo approssimativo durante il lavoro
11) Mancanza di progressione nella formazione dei ragazzini

  • punti positivi

1) Formazione di nuovi tecnici specializzati nei settori giovanili
2) Lasciare del tempo per lavorare liberamente, come sulla strada e la piazza
3) Tecnica adeguata all’età
4) Insegnare l’auto osservazione e l’autocorrezione
5) Somministrazione dei mezzi di allenamento in modo razionale
6) Presenza di uno psicologo esperto nelle scuole calcio
7) Giorni di allenamento che partendo da tre settimanali, nella progressione degli anni, dovrebbe diventare giornaliera, per poi anche bi-giornaliera
8) Eliminare nella fase adulta, il giorno di riposo dopo la partita, per farlo diventare un recupero attivo
9) Inserire l’aerobico (non camuffandolo con l’intermittente), senza palla (magari inserendo delle varianti, nei giri) e preferendo se si può, corsa in natura, specie nei settori giovanili.

Articolo redatto in collaborazione col Prof. Alfio Cazzetta

Chi è il Prof. Cazzetta, il curriculum

  • Insegnante di educazione fisica dal 1962 al 1998
  • Come atleta fu diverse volte campione regionale sui 400 e 800 metri; 2° ai campionati italiani universitari. Smise la sua carriera di atleta nel 1965, vincendo tre titoli regionali (400, 800 e 4×400) e il titolo italiano Libertas sui 400 metri, per dedicarsi più efficacemente al lavoro come tecnico
  • Allenatore nazionale di atletica di atletica leggera
  • Tecnico di basket dal 1962
  • Responsabile della preparazione fisica nel tennis dei circoli Montekatira e Umberto
  • Nel 1967 sfiorò l’assegnazione del Trofeo Beccali, come miglior tecnico di mezzofondo dell’anno
  • Nel 1969 venne nominato responsabile nazionale del mezzofondo juniores
  • Nel 1992 fu responsabile nazionale del Club Italia di mezzofondo
  • Preparatore fisico di basket all’Isab Priolo in serie A, alla Lazur e alla Palmares
  • Fondatore e allenatore di basket dal 1962 al 1967 della squadra maschile di basket dello Sport Club Catania
  • Insegnante di Atletica all’ISEF di Siracusa e poi di metodologia dell’allenamento a Scienze Motorie di Catania e Messina
  • Collaboratore del Calcio Catania nel recupero degli atleti infortunati, attraverso il lavoro in acqua
  • Responsabile della preparazione del settore giovanile del Calcio Catania
  • Relatore in moltissime conferenze in Italia e all’estero
  • Responsabile tecnico regionale e vice responsabile nazionale delle malattie metaboliche
  • Docente nazionale della FIDAL
  • Scrittore sportivo, collabora con Atleticastudi, Amicale des entraineurs francais d’athletisme (Francia), Tempo Running (Belgio), Correre, Multisport, Sport e Medicina, SDS, Universo Atletica, Scienza e Sport, Sport e Conditioning.
  • Autore di cinque libri di cui uno è stato premiato al secondo posto nel concorso culturale del CONI.