ITALIA – “Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua“, scriveva Confucio. In questa frase risiede una verità assoluta: avere un’occupazione rende indipendente, ma dover fare qualcosa che non piace solo per guadagnare, a lungo andare, può essere deleterio.
“L’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi“, diceva Steve Jobs.
Accontentarsi, infatti, genera una situazione di malessere dalla quale è difficile uscirne indenni. Una delle principali fonti di stress, dettata da pressioni, scadenze, ritmi serrati, è proprio il troppo lavoro, peggio ancora se contro voglia. Nei casi più gravi, si può configurare una vera e propria patologia. Bisogna sempre imparare a distinguere e ravvedersi in tempo.
Ai microfoni di NewSicilia è intervenuta la psicologa Ines Catania per fare una disamina sul tema del burnout, che si definisce come l’insieme dei sintomi che deriva da una condizione di stress cronico e persistente, associato al contesto lavorativo. Il termine deriva dall’inglese e letteralmente significa “esaurito” o “scoppiato“.
Nel maggio 2019 è stato riconosciuto come “sindrome” e, pertanto, è elencato nell’International Classification of Disease (ICD), che è il testo base di riferimento per tutte le patologie e le condizioni di salute.
Addirittura, l’Oms lo definisce come un “fenomeno occupazionale” generato dal troppo stress accumulato che non si riesce più a gestire. Sottolinea, però, che non si tratta di una malattia.
“Il burnout dipende dalla risposta individuale a una situazione professionale percepita come logorante dal punto di vista psicofisico. In tale contesto, l’individuo non dispone di risorse e strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiare questa sensazione di esaurimento fisico ed emotivo“, spiega la psicologa.
Pertanto, il lavoratore arriva al punto di “non farcela più” e si sente completamente insoddisfatto e prostrato dalla routine quotidiana. Nel tempo, la situazione può peggiorare: “Il burnout può condurre a un distacco mentale dal proprio impiego, con atteggiamento di indifferenza, malevolenza e cinismo verso i destinatari dell’attività lavorativa“.
Come riconoscere una situazione di burnout? Secondo quanto ci ha spiegato la nostra intervistata, i primi sintomi, più frequenti e spesso sottovalutati, sono:
Sicuramente la pandemia da Coronavirus – che da quasi due anni ha modificato la nostra routine – ha inciso profondamente, accentuando la sindrome da burnout: 2 lavoratori su 3, ovvero il 69%, ne soffrono, 20% in più rispetto ai mesi che hanno preceduto il lockdown.
I numeri parlano chiaro: “Secondo alcune recenti ricerche, in media la giornata lavorativa in smartworking dura da 1 a 3 ore in più; si fanno più riunioni (ovviamente in modalità virtuale), si è reperibili anche al di fuori dall’orario di lavoro, rispondendo al telefono o anche ‘solo’ mandando mail“.
In condizioni normali, il burnout è in genere legato alla percezione di uno squilibrio tra le richieste-esigenze professionali e le risorse disponibili, in questa fase di emergenza sanitaria alla base del fenomeno del burnout da smartworking ci sono due fattori:
In altre parole, l’impossibilità di “staccare” preservando i propri spazi extra-lavorativi.
“Come una lampadina che non si spegne mai o quasi si può fulminare, allo stesso modo anche il lavoratore alla lunga può andare incontro a una sorta di esaurimento, dovuto a un investimento di energie e risorse troppo elevato“, puntualizza la dottoressa Ines Catania.
Per contenere o comunque gestire al meglio il burnout, la psicologa Ines Catania fornisce alcuni validi e utili rimedi, da tenere bene a mente:
Immagini di repertorio
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