Sentirsi stressati per questioni lavorative è da sempre una realtà molto comune, e quindi non così spesso una fonte di preoccupazione concreta. Tuttavia, ci sono situazioni in cui la percezione del lavoratore è di aver superato ogni limite. È in questi casi che si parla di burnout, detto anche sindrome da esaurimento professionale.
Il fenomeno non sorge per eventi sporadici, bensì a seguito di un continuum di eventi stressanti che, a lungo andare, si ripercuotono in modo significativo sulla vita, anche privata, del lavoratore.
I ritmi frenetici della quotidianità sicuramente hanno rappresentato negli ultimi decenni un fattore significativo per l’incremento della sindrome. Si rivela di estrema importanza quindi capire come riconoscere il burnout ed eventualmente come combatterlo.
È intervenuta ai microfoni di NewSicilia, per fare luce su cause, effetti e possibili rimedi, la psicologa Carla Pollicino. Oltre a fare un quadro generale del fenomeno, la psicologa ha anche chiarito che tipo di correlazione c’è tra lo smart working, ormai molto frequente, e l’insorgenza del burnout.
“Tra le cause del burnout vi sono fattori individuali e fattori organizzativi che interagiscono tra di loro. Tra i fattori individuali che possono contribuire allo sviluppo di sintomatologie legate al burnout vi sono caratteristiche di personalità, valori, motivazioni e vulnerabilità allo stress. Tra quelli organizzativi, invece, vi possono essere una distribuzione dei compiti che non tiene conto di quelli che sono le capacità e i valori dei lavoratori, un ambiente in cui non vi è libertà di espressione e un clima relazionale scarso e deficitario“.
“La sindrome del burnout si può manifestare con stanchezza fisica, problemi del sonno, irritabilità, nervosismo, distacco emotivo, frustrazione e una ridotta realizzazione professionale e personale, per cui si ha, ad esempio, la sensazione di non possedere sufficienti capacità per affrontare il lavoro“.
“Gli effetti che ne derivano possono riguardare un aumento dei ritardi o delle assenze dal lavoro, una compromissione della qualità delle prestazioni offerte con conseguente riduzione della soddisfazione della clientela o degli utenti a cui è rivolto il servizio. Le conseguenze possono inoltre riflettersi anche nella vita privata per cui si tende, ad esempio, ad isolarsi“.
“Le strategie da adottare quando si parla di burnout dovrebbero essere intraprese sia dall’azienda che dal lavoratore. Essendo, come detto in precedenza, questo fenomeno determinato sia da fattori individuali che organizzativi.
Per quanto riguarda gli aspetti individuali, è importante che la persona lavori al fine di creare dei confini tra la vita lavorativa e vita privata ritagliandosi dei momenti per dedicarsi ad altre attività più piacevoli e rilassanti (es. coltivare interessi, fare attività sportiva). Può aiutare inoltre praticare tecniche di rilassamento e di mindfulness. Così da riuscire a focalizzarsi sull’attività che si svolge nel momento presente senza lasciare che la mente vaghi e venga attratta da questioni lavorative.
Per quanto riguarda invece gli interventi a livello organizzativo, l’azienda dovrebbe rivedere le modalità di reclutamento delle risorse nonché della loro formazione, tenendo conto di quelle che sono le abilità e gli interessi del lavoratore. Sarebbe inoltre opportuno prevedere dei momenti di supervisione per monitorare l’andamento del lavoro e del benessere del lavoratore. Infine sarebbe consigliabile agire al fine di favorire un clima di gruppo che consenta di gestire meglio e insieme eventuali difficoltà“.
“Se non gestito adeguatamente il lavoro da remoto può aumentare il rischio di burnout. Per evitarlo è necessario che il lavoratore abbia una buona gestione del tempo. Al fine di evitare che la giornata venga prevalentemente dedicata al lavoro a discapito del tempo libero, necessario per poter recuperare energie. Inoltre tramite la modalità in smart working si riducono le interazioni sociali dirette con il gruppo di lavoro con il rischio di non sviluppare e sentire un senso di appartenenza“.
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