“Non farmi arrabbiare che sennò sparo“, “Meglio un giorno da mafioso che cento da ‘guardia’” e qua giù al Sud anche uno dei più classici “Ti mannu i cristiani“. Sono frasi, “aforismi“, ormai entrati nel nostro quotidiano, con giovanissimi intenti a ostentare la malavita quasi romanticizzandola.
Si esaltano con fierezza valori come l’omertà e l’illegalità, in cerca di un’onore alimentato solo da like e condivisioni, cucendosi con forza una maschera di “potere” indossata, in molti casi, solo per reprimere fragilità irrisolte.
Sul caso abbiamo avuto il piacere di intervistare la Dott.ssa Valentina La Rosa, psicologa, psicoterapeuta, assegnista di ricerca e docente a contratto di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Catania.
“Questi comportamenti nascono da un mix di fattori psicologici e sociali. Da un lato, i giovani attraversano una fase di ricerca di identità e di bisogno di riconoscimento, dove il senso di appartenenza a un gruppo diventa fondamentale. La “malavita” viene spesso vista come simbolo di forza, ribellione e prestigio, soprattutto per chi fatica a trovare uno spazio in contesti più tradizionali come la scuola o la famiglia“.
“Dall’altro lato, i social media offrono una piattaforma che amplifica questi comportamenti: i like e i commenti diventano una forma di approvazione immediata, che rafforza queste scelte. Infine, c’è spesso una componente legata alla voglia di sfidare le regole e attirare l’attenzione, tipica dell’età adolescenziale“.
“Film, musica e videogiochi non sono la causa principale di tali comportamenti e non vanno dunque demonizzati ma possono sicuramente influenzare in maniera significativa i ragazzi, soprattutto se basati sull’esaltazione di comportamenti criminali o violenti“.
“Questi media, infatti, agiscono come amplificatori di atteggiamenti preesistenti e quindi un giovane che si sente attratto da modelli di ribellione o potere potrebbe essere maggiormente influenzato da contenuti che ne esaltano il fascino“.
“Inoltre, la ripetizione di certi messaggi può contribuire a normalizzare comportamenti rischiosi, soprattutto in assenza di adulti di riferimento che aiutino i ragazzi a interpretare criticamente ciò che vedono o ascoltano. In tale contesto, è dunque importante insegnare ai giovani a distinguere la realtà dalla finzione e a non idealizzare modelli negativi, fornendo loro un ambiente sicuro che stimoli il pensiero critico e lo sviluppo di valori adattivi “.
“Anche nei contesti familiari più agiati, i ragazzi possono sperimentare sentimenti di vuoto emotivo o un profondo senso di insoddisfazione, in particolare quando manca una connessione autentica con i genitori e la relazione si limita alla cura materiale e non include la presenza e il supporto affettivo“.
“Nello specifico, per alcuni giovani la malavita può rappresentare una sfida, un modo per provare emozioni forti o per distinguersi in un ambiente che percepiscono come troppo “protetto” o monotono. Per altri può rappresentare anche una forma di ribellione contro aspettative rigide o pressioni familiari che li porta a cercare un’identità alternativa in modelli opposti a quelli promossi dalla famiglia“.
“Questo fenomeno esisteva sicuramente anche in passato ma con modalità diverse e non mediate dai social media. Già in altre epoche si è assistito alla fascinazione per figure legate alla criminalità, come i gangster degli anni Trenta o i protagonisti di film iconici negli anni Settanta e Ottanta. Oggi, però, i social media hanno reso questi comportamenti molto più visibili e virali“.
“Un tempo, infatti, questi comportamenti rimanevano confinati in determinati ambienti mentre oggi un video o una foto possono raggiungere migliaia di persone in pochi secondi, trasformandosi in un’onda di comportamenti emulativi. Questa dinamica rende il fenomeno molto più pervasivo e difficilmente arginabile rispetto al passato, soprattutto nella fascia di età adolescenziale e giovanile“.
“Frasi come questa riflettono una visione distorta del disagio nelle relazioni sentimentali che viene accettato o addirittura romanticizzato, specialmente nei rapporti tra i più giovani. Questo atteggiamento può condurre a comportamenti autodistruttivi o a una svalutazione degli altri, in particolare delle donne, viste come “bersagli” per dimostrare forza o dominio“.
“Quando questi messaggi circolano senza un’adeguata riflessione, possono contribuire a creare una cultura tossica che normalizza la violenza o il controllo come strumenti di potere. Queste dinamiche diventano particolarmente pericolose in un ambiente, come quello online, dove certi messaggi si diffondono rapidamente e trovano spesso approvazione tra i pari“.
“L’educazione deve iniziare precocemente e coinvolgere la famiglia e la scuola. I genitori hanno il compito di creare un ambiente in cui i figli si sentano liberi di esprimere i propri disagi senza timore di essere giudicati. È fondamentale che trasmettano valori come il rispetto, l’empatia e il senso di responsabilità“.
“Le scuole, dal canto loro, sono chiamate a implementare programmi educativi che insegnino ai ragazzi a riconoscere e analizzare criticamente i modelli negativi, aiutandoli a sviluppare un pensiero autonomo“.
“Nel caso di problemi che riguardano il sistema familiare, come conflitti, mancanza di attenzione o difficoltà relazionali, è fondamentale intervenire con il supporto di psicologi o educatori perché queste problematiche possono influire negativamente sul benessere e sulle scelte dei ragazzi“.
“Un altro passo importante per trasmettere l’importanza di modelli positivi di comportamento è creare attività extrascolastiche che offrano ai giovani alternative costruttive, in cui le relazioni con gli altri sono opportunità di crescita e non strumento di controllo e potere”.
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