ITALIA – Vivere in due case diverse durante il matrimonio non fa venir meno gli obblighi di assistenza morale e materiale gravanti sulle coppie sposate, e dunque neanche quello al mantenimento del coniuge meno abbiente in caso di separazione.
Con questo principio della Cassazione, Sesta Sezione Civile (ordinanza n. 13450/2021), un uomo ha visto rigettare il suo ricorso in cui chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento stabilito a suo carico in favore dell’ex moglie.
In primo grado, ove veniva pronunciata la separazione tra i coniugi, il Tribunale imponeva al marito di versare mensilmente all’ex moglie un contributo per il mantenimento pari a 200 euro. Ciò nonostante la coppia non avesse convissuto durante il matrimonio. La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello.
L’uomo, contrariato da un provvedimento a suo avviso ingiusto, proponeva ricorso in Cassazione adducendo i seguenti motivi:
Secondo la Suprema Corte non c’è alcun dubbio: non condividere la stessa casa non fa venir meno i diritti e i doveri derivanti dal matrimonio. Con l’ordinanza n. 13450/2021 dunque rigetta il ricorso del marito.
Più precisamente, sul primo motivo gli Ermellini rispondono che, anche se la residenza dei coniugi era posta in luoghi diversi e dunque è mancata un’effettiva convivenza, ciò non annulla la comunione spirituale e materiale nel frattempo instaurata tra gli stessi. Pertanto permane l’obbligo di assistenza familiare in capo ad entrambi: “le modalità di svolgimento della vita coniugale, che si sono protratte per quattordici anni, pur connotate dal mantenimento della residenza in luoghi diversi, sono state correttamente apprezzate dai giudici di appello che hanno evidenziato come, ciò nonostante, si era costituito tra le parti il vincolo matrimoniale a tutti gli effetti, con conseguente permanenza del dovere di assistenza familiare in sede di pronunciata separazione”.
A tal proposito la Corte richiama una sua precedente giurisprudenza secondo cui “l’art. 156 c.c. non pone l’instaurazione di un’effettiva convivenza fra i coniugi, potendo la mancata convivenza trovare ragione nelle più diverse situazioni o esigenze e dovendo comunque essere intesa, in difetto di elementi che dimostrino il contrario, come espressione di una scelta della coppia, di per sé non escludente la comunione spirituale e materiale, dalla quale non possono farsi derivare effetti penalizzanti per uno dei coniugi ed alla quale comunque non può attribuirsi efficacia estintiva dei diritti e doveri di natura patrimoniale che nascono dal matrimonio”.
In relazione al secondo motivo, anch’esso ritenuto inammissibile, la Corte ribadisce il principio del rebus sic stantibus che si applica ai procedimenti riguardanti gli assegni di mantenimento. Questo impone al giudice di valutare tutti i fatti sopravvenuti, straordinari e imprevedibili che modificano l’assetto patrimoniale tra le parti così come stabilito dalla sentenza di separazione. Pertanto, la lettera di licenziamento ben poteva essere prodotta dalla moglie in fase di precisazione delle conclusioni.
In definitiva, la convivenza tra i coniugi non è un elemento essenziale ai fini del riconoscimento dell’assegno di mantenimento.
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