L’ex moglie, casalinga per scelta, non ha diritto all’assegno di mantenimento

L’ex moglie, casalinga per scelta, non ha diritto all’assegno di mantenimento

ITALIA – Con l’ordinanza del 24 giugno 2022, n. 20456, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla proposizione di un ricorso da parte di un uomo condannato dalla Corte di Appello di Firenze che, con sentenza del 13 gennaio 2020, poneva a suo carico l’obbligo di versare 600 euro mensili per il mantenimento dell’ex moglie, tenendo conto dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, secondo il quale il presupposto del diritto all’assegno di mantenimento è costituito dalla mancata indipendenza economica dell’ex coniuge, e può essere corrisposto altresì, in funzione perequativo-compensativa, in favore dell’ex coniuge autosufficiente economicamente, qualora quest’ultimo abbia contribuito alla realizzazione del patrimonio familiare e alla carriera del partner.

Il ricorrente contesta la decisione del giudice di secondo grado per essersi questi soffermato principalmente sulla indisponibilità di mezzi adeguati da parte dell’ex coniuge richiedente l’assegno di mantenimento, omettendo ogni accertamento sulla capacità di quest’ultimo di procurarseli per ragioni obiettive. A tal fine, il ricorrente mette in evidenza l’inerzia colpevole dell’ex moglie nella ricerca di un lavoro, vista la sua giovane età nel momento della separazione, nonché il suo disinteresse a conseguire qualsiasi altra fonte di sostentamento erogata dallo Stato, quale il Reddito di Cittadinanza.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha chiarito che la valutazione in ordine all’insufficienza dei mezzi economici adeguati o l’impossibilità di ottenerli per motivi oggettivi, richiede un’indagine sulla impossibilità del richiedente l’assegno di mantenimento di vivere dignitosamente, nonché dell’esigenza di compensarlo per aver contribuito alla formazione del patrimonio familiare o del patrimonio dell’altro coniuge. Invece, la Corte di Cassazione ha ritenuto irrilevante la valutazione in ordine allo squilibrio economico che esiste tra le parti, e alla capacità reddituale del coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento.

Dunque, l’entità del reddito del coniuge obbligato non giustifica di per sé la corresponsione dell’assegno di mantenimento commisurato alle sue sostanze, perché la differenza reddituale tra le parti rileva ai fini della ricostruzione della qualità della vita matrimoniale, valutazione ormai estranea ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento.

In altri termini, il diritto al riconoscimento dell’assegno divorzile, in ragione della relativa funzione assistenziale, è subordinato, da un lato, ad una valutazione proiettata non solo verso il futuro, circa l’impossibilità per l’ex coniuge richiedente l’assegno di mantenimento di cercare di ottenere mezzi economici idonei a consentirgli la conduzione di una vita dignitosa, tenendo altresì conto dell’inerzia e del disinteresse dimostrato da quest’ultimo nel conseguire utilità suscettibili di valutazione economica, tra le quali la percezione del reddito di cittadinanza o l’opportunità di accedervi; dall’altro lato, in virtù della funzione compensativo-perequativa dell’assegno di mantenimento, ai fini del relativo riconoscimento, è necessaria una valutazione orientata verso il passato, onde consentire di accertare il contributo dell’ex coniuge alla formazione del patrimonio familiare e al successo lavorativo dell’altro coniuge, valutando se la mancanza di attitudine dipenda da scelte dettate dal bisogno di contribuire alla realizzazione della vita familiare, che avrebbero comportato la rinuncia ad aspirazioni professionali.

Detto ciò, secondo la Corte di Cassazione, l’errore della Corte di Appello di Firenze sta nell’aver tenuto conto unicamente delle condizioni economiche delle parti, trascurando ogni valutazione relativa alle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio. In particolare, la Corte di Appello non si è posta la domanda se la mancata qualificazione professionale dell’ex moglie e dunque la relativa inesperienza lavorativa, fosse riconducibile ad una propria vocazione di rimanere casalinga, già maturata prima della instaurazione del vincolo matrimoniale, o se tale scelta fosse stata compiuta in vista del matrimonio o concordata nel corso della vita coniugale, scegliendo di occuparsi con dedizione all’andamento familiare.

Per la Corte di Cassazione risulta decisivo per i giudici verificare se la mancanza della qualifica professionale sia dovuta al prevalente impegno familiare o se sia invece frutto di una vocazione personale. Mancando questa valutazione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso del marito, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze.