La donna ha il diritto di utilizzare gli embrioni creati con il coniuge e crioconservati anche se la coppia si è separata ed il marito è contrario all’utilizzo. Lo ha stabilito il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, nel casertano, con una pronuncia destinata a far discutere. In Italia è la prima volta che viene presa una decisione del genere, che farà sicuramente da apripista per tutte le cause al momento pendenti nei tribunali italiani.
La vicenda
I coniugi ricorrono alla procreazione medicalmente assistita, congelando alcuni embrioni per poter avere un figlio. Il primo tentativo, tuttavia, fallisce. Non fanno in tempo a provarne un secondo perché, nel frattempo, il marito decide di porre fine al matrimonio. Interviene una pronuncia di separazione tra i coniugi, ma la donna non vuole rinunciare a diventare madre e chiede il consenso all’ex marito ad utilizzare gli embrioni crioconservati. Consenso che, però, le viene negato. La stessa si rivolge, dunque, al Giudice.
Decisione: sì all’utilizzo degli embrioni congelati anche se l’ex dice “no”
Il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere dà ragione alla donna, riconoscendole il diritto di utilizzare gli embrioni crioconservati in vitro nonostante la separazione del marito e la sua contrarietà all’utilizzo.
Il Tribunale si è basato sull’assunto di cui all’art. 6, comma 3, della legge 40 del 2004, in materia di procreazione assistita, secondo cui “la volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti fino al momento della fecondazione dell’ovulo“. Ciò significa che il consenso del marito, una volta avvenuta la fecondazione, non può più essere revocato. Non rileva, dunque, la contrarietà dello stesso all’utilizzo degli embrioni, né l’interruzione del rapporto matrimoniale tra i coniugi.
Conseguenza? L’uomo sarà il padre legittimo del bambino e acquisirà tutti i diritti e i doveri di natura morale e materiale nei confronti del figlio, senza che vi si possa sottrarre. Infatti, il consenso dato alla produzione di blastocisti crioconservati determina, di per sé, l’assunzione dello status genitoriale, laddove si decidesse di utilizzare quegli embrioni. Consenso che, una volta avvenuta la fecondazione, non può più essere revocato.
La donna potrà, dunque, procedere al tentativo di gravidanza.
Una sentenza che farà molto discutere, ma che soprattutto aprirà ad un nuovo orientamento giurisprudenziale in materia. Profilo da non trascurare visto l’aumento delle richieste di procreazione medicalmente assistita (oltre il 20% delle coppie presenta problemi di fertilità).
Per la donna non è stata una decisione facile da prendere: “La mia – spiega – è stata una battaglia anche per tante altre donne: credo in coscienza di aver fatto qualcosa di utile per tutte quelle donne nella mia situazione, e per i tanti concepiti in provetta congelati, a cui la legge fino ad oggi non consentiva alternative. Non è stata una scelta a cuor leggero. Io ho più di 40 anni e per amore del mio ex marito, che aveva problemi di salute, ho deciso con lui di ricorrere alla Pma. Ci sono state delle complicanze e il primo tentativo non è andato bene. Poi lui ha voluto la fine del nostro matrimonio, ma io non me la sono sentita di abbandonare quegli embrioni in una provetta, creati in un contesto d’amore. Ho deciso almeno di provare a metterli al mondo lo stesso, anche come donna single. Credo non sia giusto venire meno alle proprie responsabilità genitoriali, e per quello che mi riguarda sono contenta che il giudice abbia riconosciuto a me ed a nostro figlio, per ora solo concepito, il diritto almeno di provarci”.