“Il Giappone a colori” di Laura Imai Messina

“Il Giappone a colori” di Laura Imai Messina

Con la narrativa di Laura Imai Messina l’Occidente scopre a strati il fascino millenario del Paese del Sol Levante. La scrittrice racconta il Giappone traslato nelle nostre case in questi assai complicati anni Duemila. Edito da Einaudi, la scrittura “Il Giappone a colori” di Laura Imai Messina affonda ancora una volta l’inchiostro orientale nella cultura ancorata a leggende, tradizioni, un pittoresco giardino tenuto in vita dai simboli. Forse saggio, forse romanzo, è certo che l’ultima opera della studiosa romana che all’età di ventitré anni si trasferisce a Tokio, incide su foglio il chiaroscuro artistico del Sol Levante.

Il colore. Protagonista impalpabile dello studio in cui la competenza lascia il segno nello sguardo meravigliato di chi occhi a mandorla non ha, insegna la storia della diversità culturale all’insegna del colore. Arte, letteratura e leggenda seguono l’immagine univoca della poesia declamata attraverso il colore come distintivo dell’identità. Il tema oggetto dello studio non sarebbe poi così incisivo se la scrittura di Laura Imai Messina non fosse calamita dell’atmosfera dentro cui uno sguardo occidentale riflette sulla genesi del regno simbolico. Da tre colori asserviti al regime timido come il bianco, il grigio e il nero, il piano del rigore si sfalda nelle tonalità più deboli. Le vibrazioni vengono svegliate dal non colore fortemente ancorato al lutto, al buio, a loro volta detentori ufficiali di colori adottati dai costumi della società giapponese.

La storia ha pontificato su ogni foglia della fioritura dei ciliegi obbedienti al rito millenario carico di spiritualità. In Giappone la primavera ha un suo colore pigmentato sotto una luce sconosciuta al resto del mondo. Si presenta raro, rarissimo, un denso effetto policromo disposto a uniformare lo stesso cielo di due albe orientali. Non c’è nulla che sia rimasto uguale dopo questo viaggio nei colori del Giappone. Da quando conosco il “color piume bagnate di corvo“, il cielo si tinge di nero al loro passaggio; accade anche quando piove, perché tutto ciò che è bagnato, in giapponese, si arricchisce di un nome, del “colore di quanto è bagnato“. Dopo aver esplorato il “color piume di colomba”, scorgo sempre una scia cangiante di grigio, viola e marrone quando un piccione taglia le mattine primaverili di Tokyo.

Il lunghissimo elenco dei colori pone l’accento al VALORE quale primo anello della catena consentito non oltre la misura di matrice nipponica. In primo piano i sentimenti scremati con disciplina vengono posti al centro della vita dove tutto nasce e tutto fiorisce nella cromatura associata al tempo. Il VALORE non come considerazione della bellezza fruibile dall’occhio comune, bensì come pregevole espressione dell’interiorità uguale solo a se stessa.



Andando avanti nella lettura, risulta sempre più evidente che lo scritto si propone come promemoria del vissuto non ancora compiuto, quindi ancora in tempo a smussare le condizioni contrarie “allessenziale invisibile agli occhi“. In nessun altro Paese del mondo il colore magnifica il microscopio rilevatore della ricchezza senza tasche molto tossica del bene umano. La cultura giapponese raccoglie il seme piantato nel giardino della gentilezza coltivata con ossequiosi inchini alle virtù. Inoltre. L’obbedienza a un codice convertito in colore confeziona un modello educativo appannaggio esemplare di ogni singolo comportamento.

Ospiti di questo viaggio virtuale nel continente asiatico siamo tutti i sopravvissuti dello tsunami che ha intorpidito la sfera spirituale. Questo lento, ma costante declino della coscienza istruito alla schiavitù del peccato ha bisogno di riscoprire il giardino sepolto dai rovi simili a velenosi tentacoli. La celebrazione di un rito conta meno di un colore che alleggerisce tensione, una chiara venatura dipana le ombre ciascuna con un nome: la carta d’identità del sole nascosto.

Non ci si libera dal dubbio con un’altra domanda, ma se il mondo fa tremare la terra che credevamo madre premurosa, risulta impossibile nutrire dubbi sul crollo delle certezze fallite in una manciata di secondi. “Le cose esistono quando le vediamo, le cose esistono ancora di più quando le chiamiamo“. Si avverte, quindi, una sensibilità cromatica che rallenta la percezione di un contenuto rimosso dalla mente per distrazione o per assuefazione alla fretta. Alla velocità serve respiro per riporre tra i preziosi ricordi la fine del giorno accarezzando la porta.

sara