ITALIA – “È sempre stata attribuita allo sport, in ogni epoca e soprattutto da ogni governo, un’importanza grandissima, per la buona ragione che lo sport intrattiene e obnubila e rimbecillisce le masse”. Nonostante ingenuamente si reputi lo sport come trasmodante l’area del penalmente rilevante, le manifestazioni sportive, in realtà, hanno attirato l’attenzione del legislatore proprio perché sovente, i tifosi, ma anche gli stessi atleti e/o dirigenti delle società sportive, le ritenevano zone franche, all’interno delle quali si poteva financo commettere reati senza alcuna conseguenza.
Quanto sopra, almeno in astratto, sembrerebbe confliggere con le nobili finalità dello sport, vero e proprio veicolo di valori positivi, che dovrebbe essere considerato un mezzo fortemente educativo ma anche di unione tra popoli e razze non solo per chi lo pratica ma anche per i tifosi.
Purtroppo non sempre è così, anzi, sono reiterati i fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive, costituendo una vera e propria emergenza che ha indotto il legislatore sia nazionale che comunitario a intervenire nel corso degli anni.
A questo proposito, difficile risulta dimenticare il tragico episodio che ha scosso l’ambito comunitario (e non solo), dando vita ad un rigoroso impulso normativo: la tristemente famosa “notte dell’Heysel” di Bruxelles del 29 maggio 1985, in occasione della finale della Coppa dei Campioni di calcio, tra Juventus e Liverpool, dove a causa delle intemperanze di alcuni tifosi inglesi vi furono 39 morti e oltre 600 feriti.
Muovendo da queste premesse, occorre prestare attenzione alla ratio giustificatrice del Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive (cosiddetto D.A.SPO), la quale si sostanzia nella salvaguardia della sicurezza sociale di un ingente numero di persone riunite in un luogo – solitamente – chiuso.
Il Daspo quindi, vieta al soggetto ritenuto pericoloso di accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive e tale divieto può durare da uno a cinque anni. Può essere considerato come una misura di prevenzione atipica ed è caratterizzato dall’applicabilità a categorie di persone che versano in situazioni sintomatiche della loro pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica, con riferimento ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, ovvero a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni in questione.
Si tratta perciò di misura che prescinde dall’avvenuto accertamento giudiziale della responsabilità. Al ricorrere di talune circostanze, infatti, il Questore può proibire a un soggetto, anche solamente denunciato a piede libero o destinatario di una sentenza di condanna non definitiva, di accedere a luoghi in cui si svolgono attività sportive specificamente indicate nel provvedimento questorile.
La norma di riferimento, stabilisce che il Questore può proibire l’accesso alle manifestazioni sportive quando il soggetto ha “preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze [ha] incitato, inneggiato o indotto alla violenza” (art. 6, comma 1, primo periodo, l. 401/1989).
Si può notare come gli episodi di inneggiamento o incitamento alla violenza non necessariamente assumono un ruolo di rafforzamento dell’altrui proposito criminoso. Nonostante la possibile irrilevanza penale di tali comportamenti, potendo le stesse risultare foriere di un coefficiente di pericolosità per la sicurezza delle manifestazioni sportive, il Legislatore ha ritenuto di dovere accordare a simili condotte quanto meno un trattamento sanzionatorio di tipo amministrativo.
Con il decreto-sicurezza si è voluto estendere l’ambito applicativo del DASPO sportivo anche a talune ipotesi annoverate nel codice antimafia. Utilizzando una tecnica di rinvio fisso, l’art. 22 cit. va ad interpolare i primi due periodi dell’art. 6, comma primo, legge 13.12.1989 n. 401, prevedendo che “il divieto di cui al presente comma può essere adottato anche nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
La novella legislativa, dunque, ha avuto il merito di estendere i provvedimenti di DASPO anche agli indiziati di gravi delitti con finalità di terrorismo di cui all’art. 51, comma 3 quater, c.p.p. Peraltro, l’ambito di operatività della disciplina del DASPO sportivo viene ulteriormente ampliata con l’inserimento dei soggetti, i quali, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori o esecutivi volti a sovvertire l’ordinamento dello Stato. Invero, può essere comminata la misura amministrativa del DASPO a coloro che, operando in gruppo o isolatamente, pongano in essere atti preparatori o esecutivi volti a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità di terrorismo di cui all’art. 270 sexies c.p.
In un’ottica di prevenzione-repressione a difesa dell’ordine pubblico e della sicurezza, il decreto citato ha inserito un’altra tipologia di Daspo, denominato “urbano”.
A partire dagli anni duemila viene affidato anche al Sindaco – in qualità di autorità locale nonché, di ufficiale di governo – il potere di comprimere gli spazi di libertà, nei confronti di categorie di persone definite in modo ancora meno univoco e quindi perfino maggiormente discrezionale rispetto ai criteri già molto discutibili previsti per le tradizionali misure di prevenzione. Si assegna al primo cittadino il potere di adottare ordinanze che prevengono ed eliminano i gravi pericoli, che possono minacciare l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
La novità assoluta è quella di disincentivare i comportamenti devianti attraverso la convergenza di funzioni e competenze ispirate a criteri sia di prevenzione, che di repressione.
Si delinea così l’enfasi sulla necessità di attuare miglioramenti delle condizioni di vivibilità nei centri urbani, della convivenza civile e della coesione sociale. In quest’ottica, si collocano certamente i presidi delle strade, realizzati dalle forze dell’ordine, ma assurgono ad elementi funzionali al raggiungimento dei suddetti obiettivi anche gli studi sulla conformazione dei quartieri, degli edifici, sulle caratteristiche della rete viaria, sull’illuminazione, sulle dotazioni di telecamere e così via.
Si afferma un’idea di sicurezza ovvero la “sicurezza urbana”, viene qualificata come: “Bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità ed esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile”.
Sotto il profilo pratico, il DASPO urbano, ai sensi dell’art. 10 cit., consiste nell’ordine motivato di allontanamento da un determinato luogo, irrogato per iscritto dall’organo accertatore, di una delle infrazioni di cui all’art. 9 del decreto-legge n. 14/2017. Segnatamente, il soggetto destinatario di tale provvedimento non potrà fare accesso nel luogo in cui si trovava al momento in cui ha commesso l’infrazione passibile di sanzione per le quarantotto ore successive al momento consumativo della stessa.
Sulla disciplina statica del DASPO urbano, si può notare innanzitutto come vi sia un doppio livello di tutela, nazionale e locale. Invero, l’art. 9, comma primo cit. mira a garantire il regolare funzionamento del trasposto pubblico e delle relative infrastrutture, punendo con una sanzione amministrativa pecuniaria da 100,00 euro a 300,00 euro, e con il divieto di accesso (cosiddetto DASPO urbano) chiunque impedisca l’accessibilità e la fruizione delle dette infrastrutture “in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi” previsti dalle stesse.
A seguito dell’intervento riformatore in commento, sono stati inclusi tra i luoghi ai quali allargare la tutela interdittiva i “presidi sanitari” e le “aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli“, tutti accomunati da una intensa frequentazione di pubblico e dalla elevata funzione sociale che svolgono.
In sostanza, con un intervento mirato il Legislatore non ha snaturato la natura dell’istituto, ponendosi in linea di continuità con il precedente legislatore e limitandosi ad introdurre nel tessuto normativo del DASPO urbano taluni luoghi che assolvono a una elevata funzione utilità sociale.
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