Nel nostro ordinamento non esiste una norma che specifica nel dettaglio l’esatta età in cui decade l’obbligo dei genitori divorziati di mantenere i propri figli. La giurisprudenza dei Tribunali e in particolare di Cassazione, ha però confermato un orientamento che può ormai dirsi consolidato: non esiste un diritto assoluto e immodificabile per i figli di essere mantenuti a vita, ma bisogna che sussistano alcuni presupposti fondamentali.
A norma dell’art 147 c.c., il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni, naturali e aspirazioni. Tale diritto è anche previsto dall’art. 30 della nostra Carta Costituzionale.
Dunque mettere al mondo un figlio, crea un obbligo certo a carico di entrambi i genitori: mantenerlo e sostenerlo economicamente. Tale obbligo però non ha una durata eterna: il limite è rappresentato dal raggiungimento, da parte del figlio mantenuto, della propria autosufficienza economica; tale risultato si raggiunge nel momento in cui il figlio svolga una professione stabile, corrispondente alle competenze acquisite nel percorso di studio e in linea alle condizioni di mercato, tale da ricavarne un reddito sufficiente per fronteggiare autonomamente alle proprie esigenze quotidiane.
L’onere probatorio circa lo svolgimento di una attività lavorativa del figlio spetta al genitore il quale richieda di essere esonerato dall’obbligazione e che pertanto dovrà provare che il figlio è divenuto autosufficiente.
Ancora più difficile sarà dimostrare che il figlio non lavora perché non vuole lavorare, per un suo atteggiamento colposo e volto esclusivamente ad essere mantenuto.
Un primo orientamento è stato determinato nel 2016, con la Cassazione che in sentenza stabiliva che, per decidere sull’autonomia del figlio maggiorenne non è sufficiente che questi abbia un lavoro ma occorre che tale occupazione sia stabile, adeguata alle aspirazioni e studi del figlio e regolarmente retribuito così da permettergli una vita dignitosa.
Ma è certamente interessante una pronuncia recentissima di ottobre 2022, la n. 29264. La Corte chiarisce che, in caso di figlio maggiorenne non autosufficiente, uno dei presupposti su cui si fonda il diritto al mantenimento è proprio l’età del figlio stesso (nel caso di specie una 30enne), destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa, per il quale all’età progressivamente più elevata del beneficiario si accompagna il venir meno del diritto al mantenimento.
Il figlio che abbia ampiamente superato la maggiore età e non abbia, tuttavia, raggiunto l’autosufficienza economica, non può pretendere di essere mantenuto a vita, ma dovrà trovare una propria stabilità economica o trovando un lavoro commisurato alle proprie capacità professionali o di studio oppure, in caso contrario, far fronte alla propria condizione attraverso i diversi strumenti di ausilio economico predisposti dallo Stato.
Pertanto questa pronuncia evidenzia una volta di più che il figlio ormai maggiorenne, pronto ad entrare nel mondo del lavoro, non potrà essere mantenuto a vita dai genitori potendo altresì richiedere allo Stato dei sussidi al proprio reddito, rendendosi cosi economicamente indipendente.
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