ITALIA – Obbligo di vaccinazione, sospensione dall’esercizio della professione sanitaria o demansionamento in caso di inosservanza, scudo penale limitato alla pratica di somministrazione dei vaccini.
Sono soltanto alcune delle misure previste per il personale medico-sanitario pubblico e privato dal decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, recante Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19.
Il decreto in esame prevede, all’art. 4, che gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario si sottopongano obbligatoriamente a vaccino. La vaccinazione diventa, dunque, requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soggetti obbligati.
Un obbligo non circoscritto agli operatori sanitari che svolgono attività nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali pubbliche, ma che si estende anche a chi opera in strutture private e a chi lavora nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali.
L’unica eccezione all’obbligo è prevista in caso di accertato pericolo per la salute del sanitario, in relazione a specifiche condizioni cliniche attestate dal medico di medicina generale. La vaccinazione può, cioè, essere omessa o differita.
Ciò che ha destato clamore, forse anche più della previsione dell’obbligo in sé, sono le sanzioni previste dalla norma in caso di inosservanza dell’obbligo di vaccinazione. L’art. 4 prevede, infatti, che l’inottemperanza sarà accertata dall’azienda sanitaria locale e comporterà la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano rischi di contagio.
Che vuol dire? Che il datore di lavoro del sanitario è legittimato a sospendere quest’ultimo dall’esercizio dell’attività o ad adibirlo a mansioni diverse, anche inferiori, da quelle che svolgeva prima. Insomma, mansioni che non implichino contatti con i pazienti e rischi di contagio. Ovviamente con il trattamento retributivo corrispondente, anche più basso.
La ratio della normativa sembra essere individuata, oltre che nell’art. 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute individuale e collettiva, in talune sentenze della Corte Costituzionale firmate dalla stessa ministra della Giustizia Marta Cartabia, all’epoca presidente della Consulta.
Nel 2017 l’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin reintrodusse l’obbligo di vaccinazione per l’iscrizione a scuola, in considerazione dell’epidemia di morbillo scoppiata in quel periodo. La Regione Veneto sollevò questione di legittimità costituzionale contro questa normativa, ma la Consulta la bocciò. In sostanza, era costituzionalmente legittimo l’obbligo vaccinale: “non è irragionevole il sacrificio della libera autodeterminazione individuale in nome della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti, a partire dalla salute individuale e collettiva” – scrisse in sentenza. Decisione che, oggi, darebbe cittadinanza nel nostro ordinamento all’obbligo di vaccinarsi contro il Covid. A meno che non intervenga un’altra sentenza della Corte Costituzionale.
Ma le polemiche non sono finite. L’art. 3 del decreto legge protegge il personale medico-sanitario per i fatti di cui agli artt. 589 e 590 Codice penale verificatisi a seguito della somministrazione del vaccino. Parliamo dei reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, rispettivamente, per i quali il medico non sarà punito se il fatto avverrà a seguito della somministrazione del vaccino al paziente. Ovviamente laddove non vi sia colpa grave e il siero sia conforme alle indicazioni per la sua immissione in commercio e alle circolari del Ministero della Salute.
Tempestiva la replica di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, secondo il quale il Governo ha dimenticato che le attività sanitarie svolte per fronteggiare la pandemia sono molteplici e non circoscritte a pratiche vaccinali. Ergo, lo scudo penale andrebbe esteso a tutte le attività, soprattutto se si considera che si tratta di una patologia mai affrontata prima e che l’approccio, quantomeno iniziale, è stato sperimentale.
“I medici si sono presi carico di situazioni rischiose e spesso senza evidenze scientifiche di riferimento: dunque non si può pensare di essere esposti ogni giorno alla possibilità di una denuncia e di essere portati in tribunale”. In altre parole, il decreto dovrebbe essere allargato a tutti gli aspetti di assistenza e cura dei malati di Covid, prevedendo l’esenzione dalla colpa fino alla sconfitta del virus.
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