Che cos’è il contratto di lavoro sportivo?

Che cos’è il contratto di lavoro sportivo?

Il rapporto lavorativo tra un sportivo professionista e una società sportiva è regolato dal contratto di lavoro sportivo.

È un contratto di natura speciale disciplinato dalla Legge n.91/1981 in materia di rapporti fra società e sportivi professionisti.

Durante i lavori preparatori della Legge n. 91/1981 il Parlamento affrontò la discussa questione della qualificazione del rapporto di lavoro dello sportivo professionista.

Dalla lettura del D.L. 367/1978 (che esclude l’applicazione della normativa sul collocamento di cui alla Legge 29 aprile 1949, n. 264 e s.m.i.) emerge come il legislatore inizialmente avesse riconosciuto nel rapporto di lavoro dello sportivo professionista i caratteri della specialità e della autonomia. Anche il Disegno di legge n. 1838 approvato dal Senato della Repubblica il 2 luglio 1980 (che portò all’emanazione della Legge n. 91/1981), propose una qualificazione di tale rapporto di lavoro nell’alveo dell’autonomia, richiamando nello specifico la forma della collaborazione coordinata e continuativa.

Dopo numerose discussioni parlamentari, la decisione di qualificare la prestazione dell’atleta professionista come prestazione di lavoro subordinato venne trasfusa nell’art. 3 della Legge n. 91/1981.

Ai sensi di quanto previsto dalla legge in esame, va precisato che il rapporto di lavoro si connota per essere subordinato quando lo sportivo svolge l’attività in modo continuativo nel tempo.
Si parla, invece, di lavoro autonomo in presenza di tre requisiti:

  • quando l’attività sportiva è svolta in occasione di una singola manifestazione o di più manifestazioni tra loro collegate, ma pur sempre entro un breve periodo di tempo;
  • quando lo sportivo non sia vincolato contrattualmente a svolgere sedute di preparazione e di allenamento;
  • quando la prestazione, pur avendo carattere continuativo, non sia svolta però per più di 8 ore settimanali, o 5 giorni mensili, o 30 giorni annuali.

In definitiva, l’elemento che accomuna le tre ipotesi di autonomia del rapporto di lavoro dell’atleta previste dalla Legge n. 91/1981 sono rinvenibili nell’occasionalità della prestazione derivante dalla breve, se non brevissima, durata della prestazione.

Pertanto si evidenzia, innanzitutto, un’incompatibilità tra gratuità della prestazione dell’atleta e lavoro sportivo subordinato e, in secondo luogo, che la scelta del legislatore di applicare la “presunzione di subordinazione” è stata riferita solamente alla figura professionale dell’atleta e non alle altre previste dall’articolo 2 della Legge in esame (confronta gli articoli 2 e 3 della Legge 91/1981).

Ne consegue che per i tecnici, direttori sportivi e i preparatori atletici professionisti, la qualificazione del rapporto dovrà essere effettuata sulla base dei criteri discretivi ordinari di diritto del lavoro, come individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

Per quanto concerne, invece, la disciplina contrattualistica, la normativa richiede la forma scritta ad substantiam per tale contratto, che verrà poi depositato dalla società stipulante presso la federazione sportiva nazionale al fine di essere approvato e registrato.

Inoltre, non possono essere applicate clausole di non concorrenza, o comunque limitative della libertà dello sportivo, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto lavorativo.

Al contratto di lavoro sportivo si applica l’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori in merito alle sanzioni che possono essere erogate dalla società sportiva.

È poi ammessa la possibilità di cessione del contratto da una società sportiva ad un’altra, prima della scadenza del contratto, a patto che vi sia il consenso da parte del lavoratore sportivo ceduto.

È opportuno ricordare, tuttavia, che la società sportiva che abbia provveduto alla formazione tecnica dello sportivo, ha il diritto di stipulare il primo contratto professionistico con l’atleta.

In merito a tale materia è doveroso affrontare la questione che concerne la distinzione tra sportivo professionista e sportivo dilettante, in quanto rispetto a questo ultimo non si applica la Legge n. 91/1981.

La nozione di “sportivo dilettante” si ricava per esclusione: è dilettante chi non è professionista, cioè chi non presenta i requisiti esaminati poco sopra, tra i quali figura il requisito “formale”, cioè il fatto che la federazione sportiva auto-disciplini parte della sua attività come “professionista”.

Le federazioni sportive nazionali che hanno riconosciuto il professionismo sono:

  • FederazioneItaliana Giuoco Calcio (F.I.G.C.)
  • Federazione Pugilistica Italiana (F.P.I.)
  • Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.)
  • Federazione Motociclistica Italiana (FMI)
  • Federazione Italiana Golf (F.I.G.)
  • Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.).

I tesserati a tutte le altre federazioni, anche coloro che praticano lo sport ai massimi livelli, devono considerarsi dilettanti o “non professionisti”.

Infatti, secondo l’approccio adottato dalla giurisprudenza comunitaria, la distinzione tra le due categorie risiederebbe nel fatto che solo l’attività del professionista si caratterizza per essere continuativa nel tempo e per essere remunerata.

Tuttavia la giurisprudenza nazionale non ha sempre accolto questo orientamento, preferendo una valutazione caso per caso. Pertanto, al fine di valutare se si possa parlare di professionismo sportivo invece che di dilettantismo sportivo, verrà vagliato il caso concreto, poiché spesso lo svolgimento di un’attività continuativa e remunerata non è una prerogativa dei soli sportivi professionisti.

Avvocato Alessandro Numini 

Fonte immagine di copertina: Appaltinforma