Bullismo, tragedia e legge: una ferita ancora aperta. Il caso di Paolo e la risposta della legge n. 70 del 2024

Bullismo, tragedia e legge: una ferita ancora aperta. Il caso di Paolo e la risposta della legge n. 70 del 2024

Paolo aveva solo 14 anni quando si è tolto la vita nella sua cameretta, il giorno prima dell’inizio della scuola. È l’ennesima, inaccettabile, vittima di bullismo in Italia.
Paolo era un bambino. Non serve definirlo “normale”, “diverso”, “più sensibile” o “più gentile”, come spesso fanno i giornalisti. Non serve raccontare che amava suonare, pescare con il papà, impastare il pane con la mamma. L’unica cosa che conta è questa: era un bambino. Anche fosse stato il più capriccioso o il più monello, nulla potrebbe giustificare ciò che ha subito, nulla può spiegare la scelta di preferire la morte alla vita.
Eppure, evidenziare le sue caratteristiche aiuta a mettere a fuoco un problema radicato nel nostro modello culturale, ancora profondamente patriarcale. Paolo veniva deriso perché portava i capelli lunghi, perché suonava, perché amava cucinare, perché mostrava una sensibilità che la società fatica ad accettare in un maschio. Non incarnava lo stereotipo del “maschio duro”, insensibile, magari appassionato di calcio. Al contrario, veniva deriso, apostrofato come “Paoletta”, etichettato come “femminuccia”. Un insulto ancora oggi, nel 2025, segno di una cultura che considera la fragilità o la dolcezza come difetti, soprattutto negli uomini.
Paolo aveva provato ad adattarsi, arrivando persino a tagliarsi i capelli. Ma non è bastato. La sua sensibilità era già stata etichettata come “diversa”, e ciò che è diverso, troppo spesso, viene emarginato.
A 14 anni si dovrebbe avere voglia di imparare, di scoprire il mondo, di costruire la propria personalità. Invece Paolo aveva già visto abbastanza per decidere di non voler sapere altro. Il suo inferno era cominciato presto: insulti, derisioni, minacce sin dalle scuole elementari. Anche la maestra, che avrebbe dovuto proteggerlo, ha partecipato a questo clima, incitando addirittura con un “Rissa, rissa!”. I genitori hanno denunciato, si sono rivolti più volte alle autorità, alla preside, agli insegnanti. Invano.
Non è il fallimento di una sola persona, ma di un intero sistema: quello che dovrebbe tutelare i bambini, prepararli ad affrontare il mondo, e che invece spesso li lascia soli, isolati, abbandonati.
Serve un cambiamento di prospettiva: non si può agire solo sui ragazzi, troppo influenzabili e fragili a quest’età. È necessario intervenire anche sugli adulti, sui genitori, sugli insegnanti, su chi dovrebbe essere punto di riferimento. Se il modello è distorto, il risultato lo sarà altrettanto. Oggi si parla spesso di percorsi psicologici per i minori, troppo poco di quanto la psicoterapia sia fondamentale anche per adulti e insegnanti. La terapia, come strumento di crescita e prevenzione, dovrebbe essere centrale, soprattutto per chi ha la responsabilità di educare i più giovani.

Cosa succede però quando il bullismo è già in atto? Come si può intervenire concretamente?

Fino a poco tempo fa, non esisteva un vero e proprio reato di bullismo. Era necessario verificare, caso per caso, se i comportamenti rientrassero in fattispecie già previste – percosse, diffamazione, lesioni, minacce – e procedere solo se il bullo aveva compiuto 14 anni.
Nel 2024, però, il legislatore ha compiuto un passo importante con la legge n. 70, che introduce per la prima volta una definizione giuridica di bullismo:
“Ai fini della presente legge, per bullismo si intendono l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, in danno di un minore o di un gruppo di minori, idonee a provocare sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni”.
La legge mira a prevenire e contrastare il bullismo tramite una “strategia di attenzione e tutela nei confronti dei minori, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, privilegiando azioni di carattere formativo ed educativo”.
Non si limita alla definizione: introduce un vero protocollo di intervento. L’articolo 2 attribuisce un ruolo centrale al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. In caso di bullismo, si valuta l’attivazione di un percorso di mediazione o di un progetto di intervento educativo a fini rieducativi e riparativi, sotto la direzione dei servizi sociali. Questi progetti possono includere volontariato, laboratori artistici, attività sportive o teatrali, e coinvolgono anche la famiglia.
Al termine del percorso, il tribunale valuta i risultati, decidendo se dichiarare concluso il procedimento, proseguirlo, adottare nuove misure o, nei casi più gravi, disporre l’affidamento temporaneo del minore ai servizi sociali o il suo collocamento in una comunità. Resta salva la possibilità di nominare un curatore speciale nei casi previsti dall’articolo 473-bis.8 del Codice di procedura civile.
Ora la sfida è che questa legge non resti solo sulla carta: serve applicazione concreta, capillare e tempestiva. Un cambiamento radicale e collettivo è necessario: nessun altro quattordicenne deve più arrivare a preferire la morte alla vita.