In ambito di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai fini del calcolo dell’assegno di divorzio in favore del coniuge più debole, deve essere tenuto conto anche il periodo di convivenza prematrimoniale intercorso tra i due coniugi.
Cosa dice la sentenza
Questo è il principio enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 35385/2023 depositata in 18 dicembre ultimo scorso.
E più precisamente: “Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase ‘di fatto’ di quella medesima unione e la fase ‘giuridica’ del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio“.
Si tratta di un principio innovativo che tiene conto di come il concetto sociale di coppia e di famiglia si sia ormai evoluto nel tempo e abbia assunto dei connotati che valicano i confini dei rapporti meramente endoconiugali. Di conseguenza deve mutare di pari passo anche l’interpretazione della legge sul divorzio relativamente ai principi normativi che sottendono il calcolo dell’assegno di divorzio: alla luce della menzionata pronuncia delle Sezioni Unite, deve esser considerato anche il periodo di convivenza che ha preceduto le nozze, in quanto la convivenza non può e non deve essere considerata un periodo a sè stante della relazione coniugale nonché della successiva vita familiare sugellata col matrimonio in quanto è proprio in quel frangente che possono essere individuate le basi del futuro rapporto coniugale.
Oggigiorno infatti diverse coppie preferiscono convivere prima di convolare a nozze e quindi le scelte relative al progetto di vita comune e familiare con le eventuali decisioni di rinuncia professionale e lavorativa da parte di uno dei due in favore sia dell’altro (futuro) coniuge (e attuale convivente) sia della definizione dei ruoli all’interno del futuro nucleo familiare che poi troverà il suo coronamento col matrimonio.
Per queste ragioni le Sezioni Unite sottolineano come i sacrifici e le rinunce effettuate durante la convivenza debbano essere considerati come elemento integrante della vita di coppia anche se il matrimonio ancora non era stato celebrato.
Il caso della Corte d’appello di Bologna
Il caso oggetto della sentenza delle Sezioni Unite si fondava sul ricorso di una donna che lamentava il mancato conteggio nella determinazione dell’assegno divorzile dei sette anni di convivenza prematrimoniale, periodo nel quale era tra l’altro nato il figlio della coppia.
La Corte d’appello di Bologna, aveva ridotto l’assegno stabilito dal giudice di prime cure assumendo che la signora avesse lasciato il lavoro in epoca antecedente al matrimonio rinunciando a lavorare in quanto benestante e non in favore della cura della famiglia, che poi, in ogni caso, si era consolidata giuridicamente solo in epoca successiva alle scelte fatte: secondo la Corte d’appello di Bologna, infatti il periodo da cui nascerebbero gli obblighi legali in cui risiede il fondamento del diritto all’assegno di mantenimento, hanno inizio proprio con il matrimonio, pertanto gli anni della convivenza non andrebbero ricompresi nel computo.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione invece sono di diverso avviso e hanno ritenuto che in ragione del riconoscimento socio-familiare di cui godono le convivenze di fatto al giorno d’oggi, il periodo di convivenza trascenda i limiti sanciti dalla legge in tema di assegno divorzile e quindi nel suo calcolo non può che essere preso in considerazione il periodo di convivenza prematrimoniale stessa, soprattutto quando questo si protrae nel tempo delineando e consolidando la divisione dei ruoli domestici. La convivenza quindi deve essere considerata una vera e propria formazione familiare.
Ad onor di cronaca ed in conclusione giova precisare che del principio enunciato dalle Sezioni Unite e sin qui trattato, si era in realtà fatta antesignana qualche anno fa la Corte d’Appello presso il Tribunale di Catania in un procedimento avente ad oggetto un caso simile a quello che ha portato alla citata pronuncia, asserendo già in una sentenza del 2020 asserendo che sebbene il matrimonio fosse avvenuto in data successiva, di fatto si doveva tener conto della convivenza iniziata anni prima.