Assegno di mantenimento del minore? Va calcolato anche in base al tenore di vita goduto dallo stesso

Assegno di mantenimento del minore? Va calcolato anche in base al tenore di vita goduto dallo stesso

L’assegno di mantenimento non può essere ridotto a sfavore della figlia solo perché ha 10 anni.

L’età, infatti, non è indicativa di minori esigenze da parte della bambina e, nella determinazione dell’assegno, il giudice deve anche tenere conto dei redditi dei genitori e del tenore goduto dalla minore durante la convivenza con gli stessi, quando non erano ancora separati o divorziati. E’ questo il principio stabilito dalla Cassazione, Sesta Sezione Civile, con ordinanza n. 22515/2021.

Davanti ai giudici di merito

Il Tribunale di primo grado dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi, affidando la figlia comune di dieci anni ai Servizi Sociali, collocandola presso la madre e regolamentando il diritto di visita del padre. Stabiliva, inoltre, a carico di quest’ultimo l’obbligo di corrispondere all’ex moglie un assegno di 3.500 euro al mese per il mantenimento della figlia, il 100% delle spese straordinarie mediche e scolastiche e il 70% di quelle ludiche.

La Corte d’appello confermava l’assegno a carico del padre, ma ne dimezzava l’ammontare.

Il ricorso in Cassazione

La madre, a questo punto, ricorreva in Cassazione lamentando che:

  • la riduzione dell’assegno non è supportata da un valido iter argomentativo e logico;
  • va censurata la parte della sentenza secondo cui la riduzione è giustificata dalle spese presumibili che possono affrontarsi mensilmente per la bambina;
  • si oppone all’onere probatorio posto a suo carico, consistente nel dimostrare il diritto della minore di conservare un mantenimento così elevato;
  • si oppone alla parte della sentenza in cui si fa un generico riferimento alle sue risorse economiche senza considerare il fatto che rivesta la carica di sindaco.

Cassazione: il mantenimento va determinato anche in base al tenore di vita goduto dal minore

La Suprema Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbendo gli altri tre. Il ricorso è, dunque, fondato.

Secondo gli Ermellini la Corte d’appello ha errato nel dimezzare l’assegno di mantenimento della figlia, facendo leva sull’età, sulle sue minori esigenze e sulle spese presumibili che mensilmente possono essere affrontate per la stessa. Per la Cassazione tale decisione è stata presa senza analizzare i fatti concreti.

A tal proposito la Suprema Corte richiama l’art. 147 c.c., che “obbliga i coniugi a far fronte a una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fino a quando la loro età lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione”.

Inoltre la Cassazione richiama l’art. 155 c.c., che obbliga i genitori a mantenere i figli in proporzione ai propri redditi, tenendo conto non solo delle loro esigenze ma anche del tenore di vita goduto durante la convivenzasecondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia, e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti”.

Dunque, nel determinare l’assegno di mantenimento, il giudice deve tenere conto anche del tenore di vita goduto fino a quel momento dalla minore e delle sue reali esigenze. E tutto ciò prescinde dalla sua età anagrafica.

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