Si avvicinano sempre di più le due date del referendum: l’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne, decidendo sul lavoro, sulla cittadinanza, sulla dignità.
Ebbene, si tratta di una possibilità concreta di cambiare rotta su cinque quesiti che toccano il cuore della vita quotidiana: dal posto fisso alla sicurezza sul lavoro, fino al diritto di essere pienamente cittadini di questo Paese.
In cosa consiste il prossimo referendum
I cinque quesiti abrogativi sono stati proposti dalla CGIL e sostenuti da un ampio fronte sociale e politico. Ebbene, che si scelga SÌ o NO, la vera sconfitta sarebbe restare a guardare.
Come ha ben detto Giorgio Gaber, un grande maestro della democrazia, “la libertà è partecipazione”. E oggi, più che mai, quella libertà passa dalla cabina elettorale. La proposta di referendum ha ampiamente superato, con milioni di firme, il limite minimo di 500mila adesioni necessario per la petizione.
Ma di cosa si tratta effettivamente? Nello specifico, i cinque quesiti riguardano:
- l’abrogazione delle norme sui licenziamenti illegittimi per i contratti a tutele crescenti;
- più tutele per i lavoratori delle piccole imprese;
- riduzione del lavoro precario;
- maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro;
- più integrazione attraverso una riforma della cittadinanza italiana.
La fine del lavoro precario o un pericolo per le imprese?
Uno dei temi più caldi riguarda l’abrogazione delle norme che facilitano il ricorso ai contratti a termine e alla somministrazione. Contratti brevi, instabili, che spesso trasformano il lavoro in una roulette russa.
Chi vota SÌ chiede un ritorno al lavoro stabile, a una progettualità di vita, alla sicurezza economica. Un Paese che investe nel tempo indeterminato, dicono i promotori, è un Paese che crede nei suoi giovani.
Ma c’è anche chi dice NO, preoccupato per le ricadute sull’economia e sulla flessibilità. Secondo i contrari, l’abrogazione rischia di irrigidire il mercato e mettere in difficoltà proprio quelle piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura dell’Italia produttiva.
L’articolo 18: un simbolo che non muore
C’è poi il quesito forse più evocativo: quello che punta ad abrogare il contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act. Un passo indietro, secondo i critici. Ma per molti è l’unico modo per ridare forza all’articolo 18, per riportare in vita il principio del reintegro in caso di licenziamento illegittimo.
Chi vota SÌ lo fa nel nome di una giustizia del lavoro che tuteli il lavoratore anche contro i soprusi aziendali. Al contrario, chi vota NO teme che il ripristino del vecchio regime possa disincentivare le assunzioni e danneggiare l’occupazione.
Un referendum sulla sicurezza: un diritto, non un lusso
Tra i quesiti più sentiti anche quello che riguarda la responsabilità solidale nei subappalti. In parole semplici, si vuole reintrodurre l’obbligo per i committenti di rispondere degli incidenti che colpiscono i lavoratori nei cantieri, anche se formalmente assunti da ditte esterne.
Una battaglia di civiltà, gridano i comitati per il SÌ: troppe le morti bianche, troppe le scappatoie. Ma chi è per il NO teme che la norma possa scoraggiare le aziende dal ricorrere ai subappalti o creare una giungla giuridica sulle responsabilità.
Piccoli lavoratori, grandi diritti?
C’è poi un quesito “invisibile” ma fondamentale: quello che riguarda i dipendenti delle aziende con meno di 15 addetti, finora escluse dalle tutele contro i licenziamenti ingiusti.
Votare SÌ significherebbe garantire anche a loro ciò che per anni è stato negato: giustizia, parità, rispetto. Ma anche qui c’è chi dice NO, in nome della sopravvivenza delle microimprese, che già oggi lottano tra burocrazia e crisi.
Questione cittadinanza: verso una porta che si apre
Infine, un tema che tocca l’identità del Paese: la cittadinanza italiana. Si vuole abrogare il decreto Salvini del 2018, che ha allungato i tempi e irrigidito i criteri per concederla agli stranieri residenti: dunque, da 10 a 5 anni.
Chi vota SÌ vede in questa norma un ostacolo all’integrazione, un muro inutile contro chi vive, lavora e contribuisce al tessuto sociale italiano. È una questione di giustizia, di inclusione, di futuro.
Chi invece voterà NO lo farà, invece, per mantenere controlli più severi, per difendere – si dice – l’identità nazionale.