ITALIA – Quante volte ci è capito di sentirci bersagliati, più o meno volte durante il corso della nostra vita, dall’universo? Una sensazione di svilimento che, perlomeno in Italia, riusciamo a condividere tutti almeno un giorno l’anno, durante il temuto venerdì 17. Ma come nasce questa nefanda superstizione? Dove ha le sue radici?
Venerdì 17, l’origine della iella
In realtà la leggenda ha diverse origini, sia dietro la scelta del numero “17” che dietro il giorno della settimana designato per spargere iella sull’intera penisola italiana. Riguardo il primo criterio una delle risposte arriva direttamente dai testi sacri, nello specifico dall’Antico Testamento, che indica il 17 del secondo mese come data d’inizio del diluvio universale.
Secondariamente l’origine potrebbe derivare anche dalla cultura romana, tenendo in considerazione che il suddetto numero, all’interno del sistema di numerazione dell’epoca, era indicato con “XVII”. Questa forma, infatti, ricorda molto l’espressione “VIXI”, traducibile come “Vissi” ovvero, semplicemente, “Sono morto”. Parallelamente, infine, anche la smorfia napoletana si esprime al riguardo, attribuendo al numero il sinonimo di “sfortuna” o “disgrazia”.
Sul venerdì, invece, non vi sono tante incertezze, in quanto associato originariamente al Venerdì Santo. Questa data infatti, pur venendo celebrata dalla comunità cristiana, altro non è che l’anniversario della morte di Gesù Cristo, crocifisso sul Golgota.
L’impatto sulla massa
È curioso notare, inoltre, quanto una superstizione tanto banale all’apparenza abbia avuto impatto tanto forte all’interno di un terreno amplio quanto l’Italia. Basti pensare, infatti, all’esistenza una vera e propria fobia per il nefando numero, denominata proprio “eptacaidecafobia”.
Un vero e proprio fenomeno del terrore, sfociato poi nel totale rigetto nei confronti della dicitura stessa della cifra diciassette. Prova di ciò infatti è l’assenza, quasi totale, del numero all’interno dei servizi pubblici, come i posti su un aereo o i sedili di un autobus.
Una peculiarità culturale che, negli anni, ha avuto un forte impatto sulla visione che il popolo italiano ha avuto, e tutt’ora ha, nei confronti del numero. Sono numerose infatti le citazioni del tema all’interno della cultura di massa, una tra tutte il film “Era di venerdì 17”, diretto da Mario Soldati. La pellicola, tuttavia, tenta in qualche modo di sfatare il mito sulla malasorte del numero, trasformando quelli che, all’apparenza, sembrano degli eventi infausti in un incontro intrinsecamente fortuito e dalle dolci sfumature.
Sfortuna o giustificazione?
Il dubbio, al termine del film, viene quindi naturale: esiste una sfortuna legata al semplice numero 17? La risposta suona quanto mai banale: siamo infatti noi, e noi solamente, gli artefici del nostro stesso destino, nessun numero o giorno settimanale.
Ogni giorno ci alziamo dal letto e usciamo di casa, indipendentemente che sia giovedì 16 o sabato 18, aspettandoci di vivere una giornata che possa essere tanto appagante quanto deludente. Siamo, ormai, abituati alla fortuna quanto lo siamo alla sfortuna, tanto da ignorare per 364 giorni la posizione che il sole assume intorno al nostro pianeta, preoccupandocene invece solo nel corso di un’intera giornata.
Perché quindi insistiamo ancora, nel ventunesimo secolo, ad aggrapparci a questa usanza? Forse il nostro è solo bisogno di conforto, di consapevolezza che, per almeno 24 ore, le cose brutte non accadano per causa nostra. Un sollievo che ci assolve dalle nostre colpe e di cui, forse, possiamo permetterci di godere, per almeno un giorno all’anno.