Un uomo e una donna da soli insieme

Un uomo e una donna da soli insieme

L’americano Kent Haruf, già professore alla Southern Illinois University, nel 1982 si scopre scrittore di racconti ambientati in Colorado, lo Stato in cui vive e lavora.

La cittadina di Holt, una località di fantasia, cornice pittoresca da Haruf adibita a letto di tutti i suoi romanzi, è una realtà americana lontana dai grattacieli e dalla vita frenetica così tipica di una metropoli. L’atmosfera è solare, aria e volti puri e puliti affollano il cuore della città concentrato in piccoli esercizi commerciali, una caffetteria e un parco giochi per bambini. L’essenziale beneficiato da tutti.

Addie Moore e Louis Waters sono due corpi in viaggio verso l’anima, già da un po’ pellegrini nel mondo sebbene la destinazione non sia ancora vicina. A metà della vita lo stop è un fine gara senza minuti di recupero. L’arbitro è severo, il campo deve essere sgombrato.

Addie è vedova di un marito e divorziata dalla metà del suo letto, adesso vuoto. Le lenzuola senza rughe nè pieghe restano giovani dal tramonto all’alba, a memoria di una verginità remota. Attrice protagonista del film che le appartiene ogni sera la sceneggiatura è ripetuta in un fotogramma gemello del precedente. Riti e consuetudini da rispettare in religiosa obbedienza verso non altri che se stessa, unica superstite di nessuna guerra.

La morte ha mantenuto la promessa scambiata sull’altare, un giorno avrebbe separato e quel giorno adesso è qui, nella sua presenza ingombrante di una tavola apparecchiata per un solo commensale, nell’armadio per metà spogliato da giacche e cravatte, nella tazzina di un caffè troppo amaro al mattino.

Louis è un uomo incantato della sua Diane fin dai tempi dell’Università, la cattedrale della cultura testimone del loro incontro. Tanto giovani e tanto innamorati l’uno dell’altra hanno brillato la luce dell’amore e uniti dal dono di una figlia, Holly, sono stati felici fino al giorno in cui Diane si è gravemente ammalata, precipitando nel tunnel senza uscita della morte.

Addie e Louis seduti al tavolo del presente consumano gli avanzi di una tenerezza dal vassoio scheggiato dal lutto. Sulla sedia in attesa di un inquilino qualunque l’agenda della solitudine non ha mai una pagina bianca, in grassetto si schiude la nota di un appuntamento senza data, puntuale per il sole dei giorni oscurati dal nulla.

L’inganno della solitudine punta al miraggio della libertà e la distrae dalle lusinghe dell’isola felice. La casa diventa un labirinto dove il silenzio è un convivente da non sposare mai, pronto a tradire la pace apparente per convertirla in follia, disperazione, spia nemica dell’intimità.

Una sera di maggio Addie incontra Louis. La donna vive a un isolato di distanza da lui, le due case sono separate dai prati verdi davanti ai marciapiedi proprietà dei passanti.

“Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me. Cosa? In che senso? Nel senso che siamo tutti e due soli. Ce ne stiamo per conto nostro da troppo tempo. Da anni. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare. Sto parlando di attraversare la notte insieme. E di starsene al caldo nel letto, come buoni amici. Starsene a letto insieme, e tu ti fermi a dormire”.

Pausa di due sguardi incrociati. Settant’anni per due ma basta poco per decimare o moltiplicare le candeline sempre più ammassate sulle torte di compleanno. Louis ascolta la proposta di Addie con un turbamento infantile, esita, chiede, perché? La colpa è della notte, tanto generosa nella sua missione complice, tanto avara di ore proibite.
“Le notti sono la cosa peggiore, non trovi?”
“Sì. Credo di sì”.

La prima sera Louis bussa al letto di Addie con l’emozione di un novello sposo. Il disagio è evidente, la naturalezza in vigore come sale al sole. La fame di tenerezza non salta i pasti, nella notte c’è tutto il suo banchetto nuziale. “E parlare”. Recitava la proposta. Niente sesso, a settant’anni superflua appendice di una carezza.

L’anima nuda offre il suo segreto incurante delle curve sinuose, ogni vibrazione sussurra a dispetto del desiderio. “E parlare”. L’atmosfera teme se stessa, libera dal groviglio del suo impaccio rischia un oltre non contemplato. Un uomo e una donna, due vite numerose di anni ma soli nelle piccole ore, si proteggono insieme con la cura di nessun farmaco perché il farmaco è la cura. Le ore di luce si rinnovano in una vita ritrovata perché la notte a due corpi ha riavuto la refurtiva di anni e di giorni, al tribunale delle lancette spetta la sentenza definitiva.

Le notti di Addie e Louis hanno le stelle contate, goderne di una per sfamarsi di tutte, una dopo l’altra si sono eclissate dietro un antipasto di luna. Sorella luna in pena per quella deliziosa premura interrotta, si sa, la felicità porta i tacchi alti, l’equilibrio cade stremato sui perché. L’urgenza di amarsi ha commesso l’errore di mostrarsi al mondo ed è stato un inciampo imperdonabile. La furia egoista degli affetti più cari cancella la comunione di un letto custode di capelli d’argento, la scenografia di una tempesta repressa. Intanto, fuori la porta la vita scorre attraverso gli alberi impegnati a sfidare il cielo, sui rami le foglie cambiano vestito ogni giorno. Fiorire e appassire è un tetto in comune senza spifferi di aliti da cui poter fuggire, di petalo si vive, dalle spine non ci si salva.

E allora la morsa della malinconia distende le sue radici sopra il letto vedovo della sua ultima primavera, scremato dall’anima in soccorso.
La notte torna a popolarsi di abitudini promosse a riti, movimenti di una religione domestica restituiti alla luce di una fiamma stanca.
Spargere amore per raccogliere la memoria del dono richiamato a pulsare.

“Addie spense la luce. Dov’è la tua mano?
Proprio qui accanto a te, dove sta sempre”.