Candidato alla 75esima edizione del Premio Strega, il romanzo “Sembrava bellezza” di Teresa Ciabatti è uno dei 12 candidati al prestigioso riconoscimento. La scrittrice, nata a Orbetello ma romana d’adozione, è già stata finalista al Premio nel 2017 con il romanzo “La più amata“, la sua biografia vivace (o nervosa) in cui protagonista assoluta è la ricerca di tessere segrete che alterano i colori del profilo originale della sua famiglia.
A distanza di quattro anni il nuovo romanzo “Sembrava bellezza” è nell’agenda del prestigioso Premio. Una disamina del vissuto di tre donne, Federica, Livia e la voce narrante dell’autrice stessa, forza e fragilità allo specchio con il verdetto di un calendario all’indietro, crudele. Tre donne legate da un profano ritiro spirituale dinanzi allo sguardo maturo delle loro vite, a sfogliare le pagine della loro adolescenza, a trovare verità sepolte dal tempo ingenuo. Mezzo secolo in comune.
La bellezza eterea di Livia offusca le certezze dello sconosciuto passante e confonde la già precaria autostima della giovane età delle amiche. Il tempo non sa godere della sua fresca innocenza, profondo rimpianto quando si accorgerà di essere colpevole del suo spreco e puro non lo sarà più.
La scrittrice Teresa Ciabatti sale a bordo del suo romanzo occupando il posto in prima fila di una donna intrappolata nelle sue paranoie di cinquantenne, è guerra con la rotazione sempre più vortice delle lancette di tutti gli orologi intorno. Del suo soprattutto.
La sua esistenza è una vertigine costante, lo scampolo sgualcito del giorno ogni sera diventa uno straccio ridotto a brandelli. Il rapporto con la figlia cresce disordinato, i loro dialoghi sono modelli di una lettura capovolta, poi la processione dei suoi compagni di letto, mai amanti, solo ore affollate di frettolosi respiri.
A Federica, sorella di Livia, spetta il compito di assumere le funzioni di un farmaco miracoloso, un ristoro protettivo contro le increspature delle maree di anime in tempesta.
Storie di donne e d’amicizia, collante necessario per salvarsi dalle sabbie mobili delle torture esistenziali, morbo presente già dalla culla. Come schegge impazzite tre assai femmine e troppo poco donne si divorano l’anima per le grinze che il tempo disegna sulle curve sinuose, adesso in maledetta discesa.
La bellezza ha l’incubazione dell’inganno, la malasorte di Livia la dispenserà dalle ossessioni di rughe e tormenti… Livia avrà diciott’anni per sempre. I capelli biondi e le gambe lunghe ci sono ancora, la sua mente è però un puzzle con mille tasselli, per incastonare un pensiero ne manca sempre uno.
Il buio e la luce diventano complici di fantasmi tiranni. Così la notte, così il giorno, gemelli per caso dentro un corpo invaghito del nulla: la competizione perdente della bellezza.
“Solitudine, futuro sconosciuto che incombe, quel sovrapporsi, fondersi, sommarsi per formare un unico individuo forte, meno spaurito, leggermente meno, meno di chi. Di me, di te. Delle ragazze della botola, di Livia, si quel che resta di Livia tra i cespugli del giardino al piano terra della palazzina rosa del quartiere signorile”.
Tre donne in viaggio senza valigie, anomalo mezzo di trasporto è l’analisi introspettiva di sé nel corso di una seduta di psicologia lunga un romanzo, un grido liberatorio per imparare a perdonarsi. L’universo femminile qui come altrove è inseguito da ansie e paure dal piano sinistro di ombreggiare la grazia di un raggio di luce, nido di calore da donare al mondo attraverso il grembo gonfio di generazioni.
La bellezza del corpo non è perfezione, lo è il processo ambiguo del ricordo abituato a far brillare perfino la polvere, i capelli biondi e le gambe lunghe accecano occhi analfabeti, l’avvenenza dell’anima veste logorroico il cuore. Le donne convivono con l’inferno nascosto sotto il velo di sposa ingiallito dal tempo, c’è sempre un abito bianco chiuso nell’armadio adibito a maschera di pace, dietro il sipario la commedia è un autentico dramma.
L’adolescenza è maestra della maturità, a distanza di trent’anni tre donne si ritrovano al confessionale dello specchio remoto per sostenere l’esame dove la penna è terremoto di memoria, il foglio è l’anima sdraiata sul ricordo somministrato goccia a goccia come balsamo curativo.
È facile inciampare nello stile narrativo di Teresa Ciabatti, lontanissima se non addirittura assente la percezione di una carezza, a tratti violento è l’ assalto di graffi voraci con l’obiettivo di scalfire il muro dell’impotenza.
“Cos’è del resto questo impeto di protezione, questa lotta spavalda, contro le intemperie? Pronte a bagnarci, gelarci, ammalarci, cadere, precipitare, precipitare al posto delle figlie”.
Generazioni a confronto impegnate a sciogliere i nodi del vissuto antico, perché anche se “Sembrava bellezza”, profumata essenza lo sarà per sempre.
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