Un sogno portatore sano di altri, luminosi sogni, raramente riesce a confrontarsi con la brillante realtà del desiderio incompiuto. La corsa contro il tempo può andare oltre il significato metaforico di una particolare, fuggevole ora, perché due gambe programmate al passo veloce hanno tutto il potenziale necessario per superare la velocità di sessanta secondi di luce.
Lei si chiama Samia Yusuf Omar, ed è la protagonista del romanzo di Giuseppe Catozzella “Non dirmi che hai paura“, vincitore del Premio Strega Giovani nel 2014, del Premio Carlo Levi nel 2015, candidato al Premio Strega 2014 con la presentazione di Roberto Saviano e della giornalista Giovanna Botteri, corrispondente RAI all’estero.
Il nuovo millennio non ha saputo disfarsi delle guerre contro l’umanità adottata dal pianeta troppo clemente con i suoi figli. L’integralismo islamico non ha mai smesso di spargere sangue nei paesi trascinati in una guerra civile voluta da un dio a lettere minuscole.
La guerra non ha occhi ma il cielo ne inventa due, e lo fa in fretta quando la pietà di un angelo non ne può più di assistere inerme all’orrore.
Samia ha l’atletica nel sangue dai suoi primi anni di vita. È una giovane guerriera ma non lo sa ancora, verrà il tempo in cui vincerà con le sue gambe, è però ancora presto per salire sul podio con la medaglia della vita al petto. Il Viaggio è lungo, la partenza è stata rinviata più volte. Nessun cammino può dirsi concluso se il piede rimane incastrato tra le fauci imbottite di rabbia. Corrono veloci le gambe di Samia, corrono parallele a quelle di Alì, l’amico fedele, un caldo abbraccio durante il temporale emotivo, l’allenatore che incoraggia la corsa quando mancano le forze per riprendere fiato. E poi, ricominciare dalla seconda volta perché la prima è stata martire di una debolissima stima di sé.
Da un giorno all’altro Mogadiscio cambia volto. Si spengono le luci della città, si annientano i sogni già allineati con la valigia in mano. Chiudono le scuole, i cinema, è vietato ascoltare la musica, le donne non possono uscire di casa se non accompagnate da un componente maschio della famiglia, e hanno altresì l’obbligo di indossare il burka nero “quello che lascia scoperti soltanto gli occhi“.
Violare la legge di Al-Shabaab significa morte. Il gruppo integralista islamico che tradotto in italiano significa “La gioventù“, legato ad al-Qaeda, fa parte di una lunga lista di organizzazioni terroristiche compilata dagli Stati Uniti.
“Tutto ciò che fino a quel giorno era stato difficile da realizzare ma possibile, era diventato impossibile. Il sogno, la speranza e la libertà erano stati cancellati con un’unica mossa”.
Nata per correre e per combattere il panorama insanguinato dalla guerra, Samia Yusuf Omar vince la sfida con il male intorno partecipando alle Olimpiadi di Pechino 2008. Diciassette anni appena, con la sua esile figura di donna, Samia accende il faro della libertà sulla manifestazione sportiva più importante del mondo. Samia corre veloce per il suo Paese martoriato dalla guerra, scappa dall’odio insano del terrorismo islamico che si espande a macchia d’olio lasciando dietro di sè miracoli mitragliati.
La bandiera olimpica impallidisce davanti allo scarso risultato agonistico di Samia, ma nel contempo si colora di rabbioso riscatto delle donne musulmane inghiottite dalle sabbie mobili della guerra.
“Solo quando vedi la luce, dopo che sei stata a lungo al buio, ti ricordi del colore delle cose”.
La storia di Samia entra nel tunnel maledetto insieme ai suoi connazionali in fuga dagli spietati adepti alla legge coranica.
È il 2012.
Ottomila chilometri la separano dalle Olimpiadi di Londra. La terraferma staccata dal mare accoglie l’umanità in balìa della prima tappa del Viaggio nel deserto, la Libia. Prima di raggiungere il Belpaese, il mare offre l’ultima chance ai migranti minacciati dai trafficanti di vite. Lunghe ore pregando un dio miope per sottrarsi alle atrocità disumane, forse arrabbiato con i suoi figli cresciuti a pane e guerra. Uomini, donne e bambini vengono restituiti al grembo blu allergico ai figli al punto che, approfittando della tempesta, un grido disperato annuncia l’aborto del mare.
L’isola di Lampedusa conta i sopravvissuti con la disperazione negli occhi per chissà quanto tempo ancora. Il 2 aprile del 2012 l’appello dei soccorritori ripete un nome una, due, tre volte. Poi l’arresa. Samia non risponde, Samia è stata tradita dalla promessa del mare, tomba per sempre di una giovane atleta.
Credit foto Feltrinelli Editore
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