ITALIA – Mercoledì 19 maggio, attraverso un messaggio video pubblicato sul proprio account Twitter ufficiale, la cantautrice e attrice statunitense Demi Lovato ha annunciato pubblicamente di essere una persona “non binaria” che non si riconosce nei generi maschile e femminile.
A tal proposito, l’artista ha chiesto di non essere più chiamata con un pronome femminile (“she“/”her” in inglese, “lei” in italiano), bensì con “they“. La notizia ha creato non poco scompiglio tra ammiratori e non, specialmente in Italia dove si è soliti tradurre “they” con “loro“.
In realtà, il pronome indicato da Demi Lovato non va inteso al plurale, bensì al singolare. Il “singular they“, eletto parola dell’anno 2019 dal dizionario Merriam-Webster, ha la funzione di pronome singolare neutro e non può essere tradotto in un corrispettivo italiano perché non presente nella nostra lingua.
Un linguaggio più inclusivo
Il “caso” Lovato ha riacceso, inevitabilmente, il dibattito basato sul ricorso a un linguaggio più inclusivo. Anche nel nostro Paese, nel corso degli ultimi anni, è emersa la necessità di dover trovare soluzioni a un evidente maschilismo linguistico che caratterizza l’Italiano.
Un buon compromesso, in tal senso, potrebbe essere rappresentato dall’introduzione, nel linguaggio scritto e nel parlato, del simbolo “ə”, che prende il nome di “schwa” (o scevà), da impiegare al posto della desinenza, ovvero “l’elemento finale” di una parola. Ma di cosa stiamo parlando?
Cos’è lo schwa e come si usa
Con il simbolo dello schwa si indica una “vocale centrale media“, che si posiziona a metà tra le vocali comunemente utilizzate. Va sottolineato, inoltre, che lo schwa esiste da tempo e non si tratta né di una “novità” recente né di una “stravaganza” derivata chissà da quale cultura agli antipodi dalla nostra.
Le prime tracce del suo uso risalgono addirittura all’ebraico medioevale. Il linguista tedesco Johann Andreas Schmeller lo introdusse in Germania in un suo testo del 1821 e oggi è presente nell’alfabeto fonetico internazionale.
Il suo suono, inoltre, è presente in maniera pressoché frequente nella lingua inglese (provate a pronunciare “about” o “dinner“) e figura anche in diversi dialetti italiani come il piemontese, l’abruzzese, il napoletano (“màmmete“) e… il siciliano.
Ebbene sì, anche nel dialetto siciliano è possibile rintracciare lo stesso suono. Basti pensare, a tal proposito, al dialetto gallo-italico di Sicilia parlato nelle località di Aidone, Piazza Armerina, San Fratello e Sperlinga, in provincia di Enna, e ad Acquedolci, Montalbano Elicona e San Fratello, nel Messinese. Inizia a sembrarvi familiare?
L’esempio di Castelfranco Emilia
Nelle scorse settimane una svolta pionieristica sull’impiego dello schwa nella lingua italiana è stata presentata dalla scelta, adottata dal Comune di Castelfranco Emilia (Modena), di utilizzare la formula nelle sue comunicazioni ufficiali sui canali social.
Il primo impiego è avvenuto il 12 aprile scorso, in un post Facebook dove si spiega che “il rispetto e la valorizzazione delle differenze sono principi fondamentali della nostra comunità e il linguaggio che utilizziamo quotidianamente dovrebbe rispecchiare tali principi“.
“Questo non significa stravolgere la nostra lingua o le nostre abitudini, significa fare un esercizio di cura e attenzione verso tutte le persone, in modo che si sentano ugualmente rappresentate“, ha precisato ulteriormente il Comune.
I vantaggi di usare lo schwa
Provare a rendere maggiormente “gentile” una lingua, cancellando dei retaggi culturali secolari, non è certo un’operazione semplice. Tuttavia, ogni passo compiuto in direzione dell’inclusività è da intendersi come una mano tesa nei confronti dei diritti di ognuno.
Un tentativo simile, recentemente, è stato provato dall’utilizzo dell’asterisco egualitario di genere (*) al termine di una parola (esempio, “tutt*“). Ciononostante, tale soluzione può presentare dei limiti dal punto di vista della pronuncia. Quale suono gli si potrebbe attribuire? Un ostacolo, questo, in grado di essere bypassato dall’utilizzo, appunto, dallo schwa sia nello scritto sia nel parlato.
Tutte le lingue cambiano
Non ce ne vorranno i conservatori, ma blindare le porte di una lingua dalle contaminazioni “esterne” è pressoché impossibile. L’Italiano che parliamo comunemente ai giorni nostri non è certamente lo stesso che utilizzavano i nostri nonni, così come non lo sono le lingue di altri Paesi.
Nel corso degli ultimi anni, il ricorso a nuovi strumenti di comunicazione come i social network, l’introduzione di neologismi e le interazioni sempre più frequenti con le altre lingue del mondo hanno contribuito enormemente all’evoluzione dell’italiano.
Che si possa essere contrari o meno, tutti noi, senza rendercene conto, concorriamo in maniera spontanea all’arricchimento della nostra lingua ascoltando e assimilando quotidianamente forme e vocaboli più o meno diffusi. È dunque arrivato il momento di “rinnovare” la nostra lingua per sciogliere gli stretti nodi del binarismo di genere.