Nata il giorno di San Valentino in quel di Ferrara nell’anno che la volle figlia di questa terra, Daria Bignardi giornalista, conduttrice televisiva, scrittrice, mette nero su bianco il punto nevralgico della sua vita dando alle stampe la cronologia della sua formazione letteraria.
Sollecitata dalla mente coinvolta del lettore, la scrittura prende per mano un lungo elenco di autori italiani e stranieri, poi sceglie di assorbirne l’estratto che più si adatta al curioso sentire dell’anima.
Qualsiasi certezza è rimandata al calendario sorpreso dalla vertigine di trovarsi nel mondo a cuore scalzo, portato a riva dalle correnti indifferenti di lasciarlo annegare nello tsunami improvviso.
Un diario con l’ambizione di un romanzo si rannicchia tra le confidenze di un’intelligenza cresciuta sotto l’ala protettiva di una madre ansiosa. Cura o disastro? Quando arriverà il momento di rompere il sigillo di sicurezza, una bambina dovrà imparare a camminare. Per la seconda volta.
A pagine inoltrate abbiamo acquisito tutte le informazioni dell’ inno all’amore per la lettura già dal primo incontro con l’alfabeto. Dove c’è un libro il dialogo con se stessi non solo è possibile, ma ricopre il ruolo di un incontro preparatorio al confronto con gli altri. Come da sua intima confessione, Daria Bignardi ammette di aver compiuto una scrematura di titoli da cui è stata salvata, a cui seguono le pagine portatrici sane di ferite incurabili. “Piacere e dolore insieme” stipati nel nido di emozioni protette.
Da “Il demone meschino” di Sologub a “La foresta della notte” di Djuna Barnes, fino a “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche. Daria adolescente si lascia avvolgere dal sogno parigino degli anni Venti di Djuna Barnes, donna colta, raffinata e nevrotica. Sente di assomigliarle, almeno in parte, nella relazione agitata con la vita. Anni dopo scopre di aver invidiato invano quella figura di donna illustrata sulla copertina del romanzo, la smania giovanile era sempre stata rivolta alla scrittrice idealizzata senza averne mai conosciuto il volto.
Queste letture portano in grembo la malinconia sotto accusa della scrittrice, allo stesso tempo spengono tutte le altre ipotesi estranee alla causa della nevrosi. “Capire che l’agitazione, la preoccupazione che sentivo si chiamava ansia è stato liberatorio. L’ho guardata da fuori, e ora so più o meno conviverci. Farci amicizia è chiedere troppo, sapere che c’è e non prenderla sempre sul serio aiuta a disinnescarla“.
Non solo libri. Vita allo specchio. Daria Bignardi apre il suo salotto emotivo al racconto delle tempeste quando la pelle non ha nulla da invidiare al velluto avvolgente. All’età di sette anni scrive il suo primo romanzo “Illusioni perdute“, appena otto pagine scritte a mano, inconsapevole che quel titolo apparteneva già al capolavoro dello scrittore francese Honoré de Balzac. Daria incline allo studio di spasmi di dolore addirittura laddove il dolore non c’è. Caratterialmente inquieta, non di rado sfiora il limite della personalità ribelle per troppa fame di sapere. Poco fedele ai segreti, si difende con la spada alimentata a getti di inchiostro sui dogmi della vita acquisiti dai tomi di filosofia.
L’anima, si sa, non vede l’ora di togliere il velo al volto senza nome della conoscenza inesplorata. Domani più di ieri, Daria viaggerà tutte le strade che la porteranno là dove da tempo ha deciso di andare, determinata ad abbattere il muro delle sue fragilità. È assurdo pretendere di diventare muraglia in un giorno se mai la costanza è stata ingrediente esclusivo del tempo.
Questo singolare diario insegna a combattere il disagio emozionale rivolgendosi alle pagine a cui abbiamo voluto bene. Scritture che condurranno al porto sicuro è certezza sperimentata da chi, un libro-àncora di salvezza, l’ha tenuto sempre accanto a sé. Nelle lune contrarie alla vita la lettura ha sempre finemente ricamato i momenti soggetti a imprevedibili cadute; in compagnia dei libri l’affanno è diventato forza, sostegno, stimolo di crescita e rinascita.
Da “lettrice agonistica” come si definisce, Daria Bignardi delibera la riunione condominiale delle pagine a cui ha permesso di dare certezze al suo itinerario di vita. Come dimenticare le avventure di “Celestino”, il protagonista della sua prima lettura quando aveva appena cinque anni, la storia di un germoglio di uomo in un giardino pieno di margherite, coccinelle e farfalle, che un pomeriggio trovò in mezzo al prato un’enorme fragola rossa.
Col tempo il libro finì al macero ma “Celestino” fu bambino per sempre nella biblioteca illustrata della memoria. Come se fosse dotata di un segnalibro cangiante, la nuova pubblicazione di Daria Bignardi si snoda da breve accenno biografico ad aperitivo rinforzato di citazioni letterarie, per ultimo il dessert ambientato sul vassoio malinconico serve il lettore, ospite della serata promiscua.
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