“Le chiamava persone medicina” di Gio Evan

“Le chiamava persone medicina” di Gio Evan

Non esistono storie che non abbiano mai avuto contenuti simili a un romanzo scritto nello sguardo di un uomo. Niente di paradossale, s’intende, solo una consonanza di due o più percorsi esistenziali elaborati dallo stesso progetto di vita.

Con “Le chiamava persone medicina” (Rizzoli) torna in libreria Gio Evan, pseudonimo di Giovanni Giancaspro, poeta dell’anima e cantautore italiano. Evan vanta un percorso poliedrico che ha conquistato le attenzioni per un artista viandante nel suo pianeta sensibile.

Dalla poesia al romanzo il linguaggio Evan manifesta l’inclinazione spirituale tipica delle anime incessantemente sotto interrogatorio.

Se c’è un posto bello sei te – Fabbri Editori, 2020
Ci siamo fatti mare – Rizzoli, 2021
Passa a sorprendermi – (Nuova edizione) Rizzoli 2022
Non perdermi sul serio – Poesie e meditazioni per ritrovarsi – Rizzoli 2023
La bella maniera – Narcissus, 2014
Cento cuori dentro – Fabbri Editori, 2019
I ricordi preziosi di Noah Gingols – Fabbri Editori, 2020
Vivere a squarciagola – Rizzoli, 2022
Le chiamava persone medicina – Rizzoli, 2025

Un romanzo, una cura per le amnesie sempre più agguerrite in questi anni instabili come foglie d’autunno. Il ricordo attinge benedizione a marcia indietro prima che una nuvola spazzi via la preziosa gemma della memoria. E quale miglior protagonista se non la montagna, figlia legittima di madre natura, imperatrice di saggezza slanciata verso il tetto celeste?

La montagna è gelosa dei segreti nascosti tra gli alberi sordomuti per devota obbedienza. Tenuta all’oscuro di uomini dispersi nei suoi labirinti la regina verde impenna senza pietà la sua cima superba.
S’intenerisce però davanti a una donna nonna, Adele, tetto e rifugio del piccolo Marelargo, 11 anni appena, un bambino con l’anima di cristallo in un mondo di anonimi specchi.

Quel nipote emana profumo di città, un’accozzaglia di odori con qualche nota fruttata fuori stagione che ha compassione del cuore puro di un bambino. Nonna Adele custodisce le leggi della natura sua unica compagna di vita sbiadita negli affanni della fretta. Lei cammina per i sentieri fedeli alla promessa della montagna, Adele siede, Adele resta in ascolto di voci erranti nell’aria pura. Nessuna cattedra, nessun registro, eppure l’anima assorbe una lezione destinata a fiorire meraviglia.

Marelargo ha la pelle sottilissima e trasparente attraverso la quale si legge il capitolo riservato alla poesia del suo cuore. Quanta infinita bellezza ispira la fragilità di un bambino con la pelle di un adulto…

“Nonna le chiamava persone medicina, diceva che ci sono persone che quando le guardi guarisci, che appena le senti calmano i battiti
aggiustano i polsi, ti aprono le persiane del cuore
e fanno entrare la luce vera, quella del sole.
Persone che con un abbraccio ti fermano la tachicardia di dentro, quella che per notti e anni
hai collezionato a colpi di ansie che nemmeno ti appartenevano.
Nonna diceva che esistono persone che tu le vedi e ti si tranquillizza il respiro, i pensieri. Che non si spaventano dei tuoi dolori, che non hanno paura di abbracciarti i traumi. Persone che hanno imparato a frequentare così bene il sole, che sanno addirittura accompagnarti fino al tuo tramonto. Persone che fanno di te stesso un miglior te stesso. A detta sua le uniche persone da frequentare, le uniche persone da diventare”.

Con l’investitura di due protagonisti reduci da una cartolina in bianco e nero, Giò Evan adotta un primo piano sulle rughe curative delle piaghe dell’anima. Lui le chiama “persone medicina”, ma in realtà il lettore diventa coprotagonista dell’ultimo volo dell’angelo prima di traslocare nel suo nuovo nido. Il processo di guarigione ha richiesto il farmaco del silenzio purificatore del germe che ha imbrattato la purezza della parola. Solo il frammento buono del cuore può avvicinarsi a una porta che sta aspettando di confidare la sua combinazione segreta.

Non solo persone quindi, perfino una penna può diventare strumento terapeutico di sensibilità non comuni. Seppur non registrabile come patologia, l’iperemotività costringe a lunghe soste nel terreno minato del pensiero profondo. Chi ne è “affetto” vive in una bolla inaccessibile al cuore affezionato al battito meccanico. Ospite sgradito, il disagio converge i ritmi prestampati del quotidiano nel quartiere psicologico delle emozioni.

Spesso l’ipersensibilità precede saggezza dell’uomo accortosi di non saper volare solo dopo essersi schiantato sulla superbia. L’ infelice ha sottovalutato l’inettitudine istruita da un comportamento colpevole di tristi conseguenze.

Non così distanti (come dovrebbe essere) dalle persone medicina, esistono labbra di veleno generose di ogni bene che nel tempo si riveleranno letali. Anziché considerarla un coinvolgimento della sfera affettiva, questo secolo riconosce all’empatia il distintivo di termine profuso senza il meritato riguardo. Ci siamo dimenticati che la parola indossa il camice bianco abilitato alla somministrazione di medicine salva-coscienza, e se un bambino di 11 anni dà a un adulto lezione di equilibrio emotivo non resta che agitare il mondo prima di assumere il soffio vitale.

sara