“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino

“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino

La storia vissuta, scritta, compresa, sembra non avere più scheletri nell’armadio. Il sapere profuso tra i banchi di scuola manca di umanità sottratta alla polvere delle lapidi. Così non è. Capita spesso di imbattersi in storie sfuggite alla memoria stanca di annegare in tutti i mali del mondo l’oblio trascinato a forza.

Vuol dire salvezza, fuga dalla notte lunga ventiquattr’ore. Dalla lastra di marmo levigata dai decenni, la scrittrice Rosella Postorino insignita del Premio Campiello, ha riesumato una vicenda da cui ha tratto un romanzo storico pubblicato da Feltrinelli nel 2018.

Le assaggiatrici” è liberamente ispirato alla storia vera di Margot Wölk, eletta suo malgrado assaggiatrice dei pasti destinati al Führer nella caserma di Krausendorf, una donna costretta a rischiare la vita ogni volta che portava un boccone alla bocca.

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Nell’autunno del 1943 a Gross-Partsch, in un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il rifugio di Hitler, vive Rosa Sauer, una giovane moglie appena ventiseienne ma già soldato di una guerra intima e personale, insieme al marito Gregor, inviato al fronte russo.

Le campagne tedesche fanno da scudo alla presenza in ombra del Führer, protetto dalle divise delle SS devoti al comando. Nella Germania nazista della seconda guerra mondiale i proiettili uccidono allo stesso modo della fame, lo stomaco vuoto impedisce di scappare per sentieri condannati al rogo. Saranno chiamate “assaggiatrici” le donne che tutte insieme siedono alla stessa tavola per rifocillarsi con la prima o l’ultima succulenta pietanza della loro vita. Un torbido gioco di ruoli per salvare il Führer da un probabile avvelenamento, una roulette russa assoggettata alla piaga feroce della guerra: la fame.

Veleno o no, il rischio andava corso. Tre pasti al giorno consumati in compagnia di altre donne, dieci in tutto, dieci cavie in cambio della vita di un dittatore impazzito di morte. Duecento marchi valeva una vita dentro un tunnel di paura affamato di vita, quale timore avrebbe potuto competere con le saette di veleno versate a pioggia sopra i tetti di vittime innocenti?

Rosa la “berlinese” ben presto si rende conto che le sue commensali sono viziate da segreti, superfluo se non assai pericoloso dare credito al bisogno impellente di confidare le sue paure.

Non sono ebree, sono donne berlinesi catturate dalla fame, precipitate nella trappola della sopravvivenza.

Un’ora di tempo prima del verdetto finale pronto a essere registrato dalle guardie delle SS.

“Da tempo mi trovavo in posti in cui non volevo stare, e accondiscendevo, e non mi ribellavo, e continuavo a sopravvivere ogni volta che qualcuno mi veniva portato via. La capacità di adattamento è la maggiore risorsa dell’essere umano, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana”.

Nella mensa del terrore, i minuti scandiscono un’altra possibilità, forse l’ultima, forse lo sarà quella dopo.
Sono giovani donne in ostaggio del Male contro cui la vita prova a sfidare una colpa che non c’è. Se fortunate, sarà un pasto di salute, ma la pozione di veleno morale non risparmierà comunque i sogni della giovane età. Per dieci donne, mogli di dieci soldati in guerra, era stata allestita una battaglia quotidiana battezzata con un solo comando: “Mangiate“.

Al primo appuntamento con la morte, la fame sotto inganno diventa una croce ben apparecchiata. Morire di fame, morire di sazietà.

È agonia di una morte lenta, tre battaglie al giorno combattute a stomaco pieno.

“Avrei potuto alzarmi, urtare la merce imballata fino a trovare la porta, picchiare forte, con i pugni, picchiare e urlare, prima o poi mi avrebbero udita, mi avrebbero aperto, che cosa mi avrebbero fatto, non mi importava, volevo morire, erano mesi che volevo morire. Invece restai lì, lunga sul pavimento – era soggezione, paura o solo istinto di sopravvivenza, non finiva mai. Non ero mai stufa di vivere”.

Di Margot Wölk, l’ultima assaggiatrice di Hitler ancora in vita, molto poco è stato scritto, da qui l’intuito di Rosella Postorino viaggia sulle ricerche premiate con un indirizzo nella città di Berlino. L’ultima “assaggiatrice” era già morta. Nel 2013, all’età di novantasei anni, Margot Wölk fu intervistata dalla stampa tedesca riguardo la natura dei suoi rapporti con Hitler, confessò ai microfoni del panico di un uomo al cospetto di una tavola imbandita solo per lui.

La conoscenza esigua dei fatti ha dato vita ad un romanzo affrescato con i dolci lineamenti del viso in risposta alle torture sulle giovani donne. Quando il terrore precede l’alba incastrato tra il sogno e l’incubo, scegliere a favore della vita diventa un ordine più che un’opzione. “Restare umani” ripete la preghiera recitata senza voce, eppure specchio di un grido rassegnato all’addio.

Protetto da un anonimo banco di nebbia tra le pagine del romanzo, la figura del Führer fa intuire la sua presenza ombreggiata dalla Postorino senza attenuanti che comunque, mai potrebbero trovare posto in nessuna riserva della memoria.

Rosa Sauer, la nuova Margot Wölk, proverà invano a sciogliere il nodo del senso di colpa perché lei, tedesca in terra tedesca, sazia il corpo nel tempo in cui le bocche di milioni di persone restano vuote. Ad ogni pasto sta calpestando lo scheletro di un’altra donna, forse una madre, forse sua madre. Non è sua la colpa del consumo di quel dovere mortale, presto tutti sapranno che fin da bambina Rosa Sauer è stata costretta a correre il rischio di vivere.