L’amurusanza di Tea Ranno

L’amurusanza di Tea Ranno

ITALIA – L’ “Amurusanza” è fonte di calore che mette a contatto anime stanche di vivere separate. Le distanze incolmabili pretendono la luce della gioia oscurata da un tramonto a mezzogiorno, la comunione dispersa nella folla di virgole incerte mira al sigillo del punto.

Amurusanza è miniatura di grandezze superflue, una quasi invisibile costanza completa l’albero delle foglie mancanti.

Ogni azione, ogni emozione può essere amurusanza se servita nel piatto buono della casa. Apparecchiare la tavola è poca cosa se i commensali non trovano il posto riservato.

Tea Ranno scrittrice siciliana ma adottata dalla capitale, ha confezionato con le sue mani uno scialle ricamato coi profumi della sua terra, fili di lana calda e morbida arrotolati nel ricordo del sole racchiuso in uno scrigno di pagine da sfogliare con passione. È tutta qui l’ amurusanza.

Un paese è solo un posto più affollato di una famiglia riunita al pranzo della domenica. Non c’è straniero, isola di se stesso fino al tramonto, ogni segreto è pubblicato sulle labbra del passante. Un chiostro laico di anime non può non avere un epicentro dove adunare parole, frivolezze più o meno piccanti, stringere cinture di relazioni su cui contare.

La tabaccheria nella piazza assolve questo compito con l’energia radiosa di Agata Lipari, la bellissima moglie di Costanzo Di Dio, desiderata dagli occhi affamati degli uomini del piccolo borgo. Agata e Costanzo abitano la casa di un matrimonio protetto da radici cresciute in salute di fedeltà, amore, intesa.

Una notte maledetta compie il furto di un uomo perbene portandolo via con un infarto, da quel momento Agata, la moglie, l’amica e l’amante di Costanzo è in credito con la vita per sempre in obbligo con lei. Rimasta vedova, la bellezza di Agata acquista valore nel sogno di molti più uomini che in passato, interessati alle sue forme sinuose e non solo.

La Saracina, il giardino di aranci e limoni del povero Costanzo Di Dio su cui ha puntato gli occhi il sindaco “Occhi Janchi”, ossessionato dal possesso mancato della terra e della carne di quella vedova inafferrabile.

Ma lei niente. Ferma. Muta. Si limita a scavarli con gli occhi cercandogli negli occhi l’anima meschina che corre a infrattarsi nel carbone delle colpe, dietro il sipario delle palpebre calate, nel fondo opaco della loro coscienza, semmai ne possedessero una. “Condoglianze” dicono le mogli. “Condoglianze” dicono i figli. E intanto la guardano, tutti la guardano Agata Lipari, ora vedova Di Dio. Alta, bella che belle come a lei non ce ne sono, snella e slanciata, le caviglie sottili, il petto superbo, il collo lungo, bianco, carezzato da capelli neri che scendono fin oltre le spalle. La guardano“.

Siamo al tempo in cui il pensiero sociale abbraccia la teoria comunista in ogni settore, pubblico e privato. L’affare malato di tasche piene dilaga nei rapporti commerciali e personali, vittime di una giustizia fusa con interessi siglati al buio. Il primo cittadino detta la sua legge scritta sul quaderno degli affari conclusi e firmati con l’inchiostro in odore di mafia, complotti, fiume di fango portato in paese da menti marce.

Sicilia bedda, Sicilia ridotta a brandelli da fauci affamate del vestito buono della domenica, la bellezza imbrattata come una pozzanghera inzuppata di malaffare.

Sicilia onesta in ginocchio davanti alla scure della corruzione sul tetto che non riesce più a dormire, fin troppo paurosi sono gli incubi maturati nel giorno. È un soldato Agata mentre combatte contro chi, in balia del delirio di onnipotenza domina l’uomo debole, schiavo di ogni suo comando.

Come ogni siciliano la casa della coscienza subisce attentati inviati a demolire le colonne portanti dell’umanità: l’onestà, il rispetto, la dignità. A sfidare “occhi bianchi ” ci pensa la Tabacchera, femmina di una Sicilia isola separata dal magma incandescente della criminalità, quella microscopica particella regina di nessun regno.

Collaborano a costruire una visione unitaria del romanzo tanti personaggi vestiti di voce dialettale. Primo fra tutti il professor Scianna, poeta romantico perso di passione per Violante, una giovinetta che provoca nel suo pensiero un turbamento simile a quello di un adolescente inquieto.

E poi Lucietta, la piangimorti, cura la solitudine “solità” partecipando a tutti i funerali del paese. Lisabetta l’erborista, cuoca sopraffina di pranzetti a base di erbe miracolose per gli affanni di corpo e mente.

Il cambiamento da lì era venuto, da quella mangiata di cose stramme che l’avevano cambiata nel di dentro, nell’anima, come se in quel mangiare ci fosse stata la chimica del coraggio e del rispetto di sé“.

 

C’è amurusanza nella condivisione della tavola imbandita, nelle espressioni dialettali intercettate a volare sopra le portate in compagnia di una mimica gentile, c’è amurusanza nelle parole da evitare in segno di ossequiosa riverenza. Tutto può il sorriso del sole siciliano ospite atteso del frutto acerbo, raggio benevolo sul limone e sull’arancia, sul fico e sulla vite pronta per la vendemmia.

È amurusanza per la propria terra, sebbene la vita costringa ad abdicare le sue radici per orizzonti sconosciuti.
Non si contano i tentativi falliti di ribellione all’ombra nera siciliana, eppure le penne, come quella di Tea Ranno, sono semi di terreno vergine su cui edificare nuove sensibilità rivolte verso un più pulito domani.

Solo così il colore del futuro non ammetterà mai la condizione di sfumature opache. Solo limpide prospettive. In ciascuno di noi abita un granello d’impulso incoraggiato ad estirpare l’erba maligna che può, e deve superare le barriere costruite nel bivio “della selva oscura”.

I valori del paese omertoso solo apparentemente perduti ritrovano le labbra del giusto, se tenuti stretti dalla consapevolezza di vivere sotto il giudice cielo. Morire senza divisa di una guerra senza soldato invoca a gran voce il grido della coscienza in coma, un po’ come camminare sulle nuvole indossando un forcone a tre punte.

Parola d’ordine ci vuole, mio signore, per accedere alle stanze della vita, parola che squaglia il gelo e splende sparpaglio di bellezza e luce. La sapesse Vossia, quella parola? “Amurusanza” fa lui senza esitazione. E le porte si spalancano e il sole ride e la vita canta“.

Fonte foto – Credit Google/Ibs