“La traversata notturna” di Andrea Canobbio

Libero da ogni filtro, il tempo matura la consapevolezza di tutto quello che vive e sopravvive in questa dimensione. Che sia di mare, di terra o di cielo, per definizione la distanza separa per ritrovarsi nel giorno richiamato dalla pietà.

Candidato al Premio Strega, classificato al terzo posto della 77esima edizione con un totale di 75 voti di preferenza, “La traversata notturna” di Andrea Canobbio è una celebrazione del ricordo, l’inchino devoto alla memoria che, a partire dal matrimonio dei genitori nel 1946, ha costruito un tetto orgoglioso di affidare l’innocenza delle anime nelle mani del futuro.

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La città di Torino viene presentata in tutta la sua bellezza prima che Canobbio figlio decida di diventare narratore della storia cresciuta tra le pareti di casa Canobbio.

Dalla mente mediocre viene definita la malattia invisibile, un battito invaghito dell’ozio mentre fissa senza guardare la vita offerta al vuoto assoluto. La malattia subdola che lascia la pelle intatta e trasloca le rughe tra le pieghe dell’anima spegne il pensiero, lasciandolo bruciare nella bocca di un vulcano eremita.

La depressione riduce in cenere il magma comatoso, poi sparge al vento i lapilli superstiti della battaglia infernale.

Del declino esistenziale del padre, Andrea Canobbio ha messo nero su bianco gli scampoli di vita sfuggiti al decorso della malattia. Emozioni, vibrazioni sospese sull’equilibrio labile prima del crollo definitivo.

Il capoluogo piemontese è un museo a cielo aperto per gli uomini che camminano con l’occhio miope innanzi alle meravigliose opere architettoniche e storiche. Il passo avanza spedito verso la dignità del lavoro, ma non dimentica il countdown a picco sulle fragilità, e per questo assimilabile a una lastra di vetro destinata alla dolorosa frattura. Uscirne indenni è pura utopia fallita al primo turno, e pensare che un giorno in più in compagnia del respiro potrebbe bastare se solo la pietà fosse una malattia contagiosa.

La traversata notturna” offende il vogatore trafitto da spade di rabbia che impongono la non scelta come unica alternativa dell’accettazione.

Il lettore segue le tracce della memoria firmata Canobbio a tratti claudicante per effetto del girotondo terrestre, ci penserà la mappa amorosa di un figlio ad alternare le pagine felici con le macchie scure del vissuto sulla pelle.

Cinquecento pagine contano 81 capitoli, tanti quanti sono il numero delle caselle dell’indice toponomastico assai caro all’autore innamorato della sua città.

La famiglia Canobbio si muove di casella in casella nella tessitura della tela a beneficio del prossimo estraneo alla storia. Dentro il perimetro familiare e non un metro più in là “La traversata notturna” di Andrea Canobbio si compie fornita di passaporto cointestato a tutti i membri della famiglia. Le colpe indietreggiano al cospetto delle accuse, chiedono perdono e se questo dovesse mancare, qualcuno raccoglierà i cocci di un’emozione sprecata.

“E se l’amore non è questo, perdonare sempre, anche quando l’altro si rivela inaffidabile, se non è questo, cos’è? Cosa, se non perdonare e aggiustare l’amore, dopo che ogni frammento si è usurato e dell’originale è rimasto soltanto il nome?”.

L’ora notturna impegna la visione offuscata del “noi” acquisito dalla storia quale esperimento narrativo limitato alla pubblica lode dei genitori.

Prima della malattia invisibile il padre è stato un ingegnere civile, la madre creatura illeggibile, tanto massiccio è lo scudo dietro il quale nasconde la personalità di turno. Una forma alternativa di passività ingannata con il rossetto sulle labbra al pari di un semaforo rosso nemico dei giorni felici.

“Mia madre non era autoritaria e non era soffocante, non era nemmeno particolarmente severa, non ne aveva bisogno. Il suo occhio onnisciente puntato su di noi, tanto intenso quanto assente era quello di nostro padre”.

Il memoir autobiografico si distingue per la scrittura approfondita con citazioni filosofiche e brevi relazioni antropologiche, ed ecco che l’intento di Canobbio si distende sicuro di aver confezionato una produzione narrativa dai tratti scientifici-culturali. Protagonista indiscussa del romanzo resta l’analisi psicologica effettuata sul pianeta interiore, la vera vittima del rogo appiccato sulle debolezze.