“La portalettere” di Francesca Giannone

“La portalettere” di Francesca Giannone

Prestigiosi riconoscimenti per il romanzo d’esordio di Francesca Giannone “La portalettere”, vincitore della 71esima edizione del Premio Bancarella, edito da Nord, la casa editrice specializzata nella pubblicazione di narrativa itinerante tra mistero e passione.

La storia matura dagli anni ’30 ai ’60 nel Salento quale regno del clima imparziale tra una stagione e l’altra. Sotto il sole sempre attivo la povera gente vive delle proprie forze chine sul raccolto, sulle viti da potare, sugli ulivi dispensatori del nettare prezioso più dell’oro.
Intere generazioni intrecciano famiglie unite nel rispetto, l’elemento fondante su solide coscienze.

Dalla Liguria la giovane Anna Allavena, insegnante, ventisette anni, occhi verdi e capelli neri, si trasferisce al sud dello stivale insieme al marito e al figlio. “La forestiera“, così viene chiamata dal coro unanime e diffidente della nuova presenza solo perché estranea al cortile bigotto che accoglie ma non concede a motivo di un religioso, ipocrita riguardo.

A Lizzanello, paese natale di Carlo Greco, marito di Anna, la scuola non ha tetto, non ha maestro, dalla cattedra azzurra il sole matura le coscienze senza aver mai avuto una penna in mano. Il pregiudizio detta la sua legge, ormai appuntamento fisso attorno la tavola buona della domenica. Di Anna si parla, di Anna si sparla, femmina straniera con i pantaloni da maschio. Anna gira in bicicletta per le vie del paese attirando a sè occhiate di rimprovero cucite sulle labbra per onorare sua maestà l’ ipocrisia.

A tanto fuoco, Anna aggiunge altro potenziale di rosso vestito quando la donna del Nord che non va a messa la domenica diventa la prima portalettere di Lizzanello. Carlo, il marito, si rivela detentore di una personalità imparziale, condotta messa al bando quanto l’anticonformismo esibito a testa alta dalla moglie. Uniti dal sacramento, separati dalle parole non dette che nel tempo si sono trasformate in segreti appassiti nel limbo di parte.

“La portalettere” sfida secoli istruiti al pregiudizio attraverso l’esame sotto il microscopio di vizi e virtù che, se dispari secondo la norma consuetudinaria mai scritta, la pena prevede giorni di emarginazione dalla terra straniera. In pochi sanno che Anna cammina sui passi di tante altre donne assopite tra i cuscini imbastiti per mogli, madri, donne col grembiule macchiato di sugo. Nessuna di loro protesta quel modus vivendi nella cella protetta dove vivere lontano dalle debolezze assai pericolose.

Una quotidianità impensabile per i principi di Anna che voltano le spalle alle convenzioni tramandate da molte generazioni. A questo punto il potere della gonna esplode nei mille volti assunti dalla forza femminile, nessuno uguale all’altro perché il singolo minuto non conosce i disegni del fratello nato dopo per non somigliare a nessuno. Anna confonde l’arretratezza culturale del Sud, ecco spiegata la traiettoria del romanzo di Francesca Giannone che ripercorre gli anni del Novecento sofferenti di un analfabetismo emozionale.

Intanto la guerra mondiale bussa alla porta accompagnata dal tempo affidato alla corsa per restare nel mondo. Se ancora giorni si aggiungeranno alla vita, ogni minuto dovrà mettersi sulle tracce di un’ora.



Con il fiato in gola, tuttavia, le battaglie dell’emancipazione femminile non intendono alzare bandiera bianca davanti al conflitto mondiale.

Dall’amore per il riflesso restituito dallo specchio resta ben poco a cui prestare ascolto. Un bisbiglio di passione viene avanti quando ciò che Dio ha unito, un altro uomo separa. Si chiama Antonio, ed è il fratello del marito di Anna. Conoscersi è stata opera di un paladino fiabesco evaso dalla prigione sulla torre. La mappa della ragione testarda porta a casa, decifrarla non richiede grandi abilità se non la seppur stanca devozione alla mitezza, figlia adottiva del sacramento nuziale.

Dalla corriera blu che lo aveva riportato al Sud era scesa anche la donna più bella che lui avesse mai visto, dagli occhi del colore delle foglie di ulivo, occhi che lui non era riuscito a smettere di fissare“.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse“. “L’Inferno” di Dante attraversa secoli di storia fiero del sigillo accolto con applausi di conferma.

Con Antonio il V Canto si ripete, insieme ad Anna le vocazioni condivise diventano passioni, le pagine tremano come foglie sopraffatte da due anime affini di quel raro sentire. Un’unica voce da due labbra in fiamme eterna il segreto propagato tra le vie del paese.

Dalle mie parti è piuttosto normale, dato che sono cresciuta al confine con la Francia lo interruppe Anna, voltandosi per un momento. Guardò Antonio con i suoi grandi occhi colore delle foglie di ulivo, messi in risalto dal nero dei capelli, che teneva acconciati in una treccia morbida. La pelle diafana e sottile, di una creatura che non apparteneva a quei luoghi, le s’imporporò sulle gote“.

Fino alla fine del doppio battito, ogni giudizio morale dovrà fare i conti con le tradizioni messe a soqquadro da due uomini e una donna. Già provato dalla debolezza, l’affetto dovrà combattere con la caducità che gli è propria innanzi al potere immenso dell’amore.

Credit Google/Ibs

sara