“Il sapore dell’albicocco” di Nicola Pesce

“Il sapore dell’albicocco” di Nicola Pesce

Prima del romanzo lo scrittore. Nicola Pesce vive i suoi giorni interamente connesso con la Natura. Non sappiamo chi ha adottato chi, eppure il bosco potrebbe essergli padre. Unica nota fuori profilo di questo singolare ritiro solitario riporta al passaggio nei social attraverso i quali lo scrittore diffonde la bellezza di un’alba screziata di verde.

Nicola Pesce nasce a Salerno nel 1984. Fin dai suoi piccoli anni ha dovuto misurarsi con le fragilità importate nel suo perimetro esistenziale dalla sindrome di Asperger, la patologia che scherma la realtà rallentando il fluire del mondo intorno a lui.

L’anima ne viene coinvolta con un gentile sentire all’indirizzo di qualsivoglia corpo vivente, umano e non. A soli 16 anni fonda la sua casa editrice, Edizioni NPE, la storia di un limite sta per essere conosciuta dal mondo digitale attraverso cui Nicola Pesce diffonde la ricetta del suo impasto alfabetico suggeritogli dalla Natura.

“Il sapore dell’albicocco” segue il successo della sua prima opera bestseller nel 2021 “La volpe che amava I libri”. Il tributo alla storia scala la classifica immaginaria dopo aver realizzato che il romanzo assolve alla biografia dell’autore reduce da migliaia di post pubblicati nella rete.

Lo sguardo attento al valore non quotato da nessuna parte imprime una scrematura del superfluo vicino di casa dell’eccesso. Costruire intimità con l’essenziale interra il seme di frutti prodighi di cure miracolose.

Chissà se vive ancora da qualche parte il sapore dell’albicocco che mi profumava le mani quando facevo finta di pescare, il cielo era azzurro e nulla ancora mi aveva davvero ferito. È difficile ricordare i momenti belli, quelli che erano la felicità e non lo sapevamo ancora“.

L’uomo vive del lavoro di Dio perché figlio della Luce della quale godrà il primo giorno dopo l’ultimo. Nella legge non scritta entra in vigore il farmaco salvifico della distanza tra l’uomo e l’assembramento di maschere in giro per le città con le conseguenze di futili contatti.

Laddove la sensibilità rimane disoccupata muoiono della ormai perduta ricompensa il seme, la radice e il frutto dell’albero lasciato marcire privato da ogni cura. Nicola Pesce scrive a voce alta il suo disappunto per lo spreco di tutto ciò che anziché fornire elementi di sana espressione delle facoltà umane imbroglia l’algoritmo mentale, di certo la più parziale funzione del sistema uomo.

La traccia autobiografica del romanzo rivela le risposte latenti durante la trattazione della prospettiva esistenziale di Nicola Pesce.

Elinor è una ex insegnante avanti negli anni, gli ultimi sono stati fin troppo generosi di rughe invisibili ad occhio nudo nonostante lei sperimenti tempo vestito a nuovo, nonostante lei sia ancora tristemente affezionata alla penna di redattrice per un giornale online.
L’appuntamento fissato in agenda conduce al nome di uno scrittore scomparso all’improvviso. Ad Elinor il compito di trovare l’uomo e intervistarlo.

Lo troverà o meglio si ritroveranno.

Un viaggio in macchina farà luce sull’immagine emersa da un sogno nel quale la donna rivive l’incontro con un bambino nella cantina degli anni. Una giovane Elinor aiuta un bambino a raccogliere delle albicocche.

Un giorno però è successa una cosa che mi ha gelato il cuore.

L’albicocco da cui mi raccoglieste una volta i frutti, quando ci spartimmo un po’ di malinconia… l’albicocco da cui ho sempre preso le albicocche, davanti al cancelluzzo di casa mia. L’albicocco dove mi arrampicavo da piccolo – che usava riempire la terra da un tappeto di frutti, perché ne faceva tanti e li scaricava sul sentiero come una tempesta – l’albicocco dove raccoglievo le albicocche da portare a tavola a papà è morto!“.

Il ricordo viene liberato per ritornare essenza in presenza di un rapporto tra i due sul bene provato. Lev, lo pseudonimo di Nicola Pesce nel libro, siederà accanto a Elinor raccogliendo insieme a lei il triste residuo del tempo in lenta ma costante decomposizione per colpa di perdite di odori e sapori che hanno scelto la via più breve per cristallizzarsi in amari ricordi.

Il dialogo di un uomo e una donna ad ogni minuto sempre meno estranei si addentra nei temi universali sgualciti da un annebbiato sentire.

In qualche modo, negli anni, aveva creato intorno a sé una finzione. Elinor fingeva di esistere… Le persone la guardavano. Lei sorrideva. Non potevano immaginare che la sua vita fosse un guscio vuoto“.

Le sfide bussano alla porta di chi ha già indossato la corazza per la prova incombente con un primo malessere sempre più riverso nella morte dentro la vita. Il viaggio ha sfamato le debolezze emotive di due sconosciuti che nella comprensione comune si scoprono essere frutti dello stesso seme. Da chissà quanto tempo una Natura colma di bene si tratteneva nascosta tra le braccia avvizzite di alberi abbandonati all’incuria.

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sara