Il ruolo dell’educatore nella scuola dell’infanzia può essere paragonato al disegno di un paesaggio in continua trasformazione. Costituisce il custode delle potenzialità, un’artista discreto che traccia i primi contorni dell’esistenza umana. Non si limita a trasmettere conoscenze, ma si pone come guida nell’affascinante viaggio della scoperta.
L’educatore non è soltanto un facilitatore di apprendimenti, ma un architetto di contesti in cui ogni bambino e bambina possa sperimentare, esplorare e crescere nel rispetto delle proprie unicità.
Ai microfoni di Newsicilia, il professor Giambattista Bufalino, ricercatore in Pedagogia generale e sociale all’Università degli Studi di Catania, ha sottolineato l’importanza di un approccio pedagogico basato sull’ascolto e sull’empatia.
Il ruolo dell’educatore dell’infanzia: un supporto fondamentale
Le recenti ricerche ci ricordano come l’interazione affettiva nei primi anni di vita rappresenti il terreno fertile su cui crescono le radici della consapevolezza e della relazione.
L’esperto ha affermato: “Ogni passo verso l’autonomia, ogni frammento di consapevolezza, trova nella sua figura un supporto discreto ma fondamentale, che può trasformare l’apprendimento in esperienza significativa“.
“La professionalità degli educatori e degli insegnanti dovrebbe fondarsi su una solida cultura dell’infanzia, intesa come un intreccio di saperi interdisciplinari che si nutrono reciprocamente per costruire una comprensione profonda e articolata del bambino, delle sue potenzialità e dei suoi bisogni”.
L’approccio pedagogico adottato nei nidi e nella scuola dell’infanzia riveste un ruolo fondamentale nella formazione delle capacità cognitive ed emotive dei bambini poiché influisce direttamente sul modo in cui il loro cervello si sviluppa e si organizza nei primi anni di vita. Questo è il momento in cui le esperienze educative possono lasciare segni profondi, modellando non solo il comportamento e le competenze, ma anche la struttura stessa delle reti neurali”.
Neuroscienze e pedagogia a servizio dello sviluppo armonico dei bambini
“Le neuroscienze e la pedagogia contemporanea dialogano oggi in modo sempre più stretto, offrendo prove solide del fatto che un’educazione di qualità, progettata con cura e attenzione, può sostenere lo sviluppo armonico dei bambini. Relazioni significative e positive, capaci di farli sentire accolti e valorizzati, diventano un terreno fertile su cui costruire il loro benessere“.
E ancora:“Allo stesso tempo, ambienti stimolanti ma non sovraccarichi, spazi pensati per nutrire la curiosità senza generare ansia, e attività ludiche e multisensoriali offrono al bambino la possibilità di esplorare il mondo con tutti i sensi, favorendo la connessione tra emozioni e apprendimento. Questi elementi, ben organizzati, stimolano lo sviluppo cognitivo e emotivo e promuovono anche la resilienza emotiva, quella capacità di affrontare le sfide e di trasformare le difficoltà in opportunità di crescita. Nei primi anni di vita, ogni esperienza significativa è come un seme che germoglia nelle connessioni cerebrali, gettando le basi per una vita ricca di scoperte, relazioni autentiche e una profonda consapevolezza di sé. Educare non significa riempire, ma coltivare con cura e visione“.
“Come può un educatore supportare lo sviluppo della resilienza e dell’autostima nei bambini in età prescolare?”
Per favorire lo sviluppo della resilienza, è fondamentale che i bambini percepiscano l’ambiente educativo come stabile e “prevedibile”. Quando i piccoli sanno di potersi muovere in un contesto di routine coerenti e relazioni affettuose, si crea quel senso di sicurezza emotiva che li incoraggia a esplorare il mondo senza timori eccessivi.
Il professore Bufalino ha spiegato che “l’ambiente educativo diventa allora una sorta di porto sicuro da cui partire per avventurarsi in nuove scoperte e sfide. A partire da questa base sicura, l’educatore può proporre attività che stimolino l’autonomia e la capacità di problem-solving. Questi elementi sono essenziali per imparare ad affrontare e superare le difficoltà che, inevitabilmente, la vita presenta”.
“Personalmente, credo che un aspetto cruciale del nostro ruolo sia proprio quello di lasciare spazio all’errore. Troppo spesso si tende a correggerlo subito, quasi a eliminarlo, ma è attraverso l’errore che i bambini costruiscono un approccio orientato alla crescita e sviluppano fiducia nelle proprie capacità”.
L’educatore nell’infanzia: insegnare il valore dell’errore come fonte di creatività e scoperta
“Mi piace sempre citare Gianni Rodari in questo contesto. Nel suo capolavoro Grammatica della fantasia, Rodari non solo riconosce l’errore come parte integrante dell’apprendimento, ma lo celebra come una straordinaria fonte di creatività e scoperta. E trovo che abbia perfettamente ragione: soprattutto nell’infanzia, l’errore è un evento fertile, una porta che si apre verso connessioni nuove e inattese”.
“Quante volte un lapsus, un errore linguistico, o una soluzione sbagliata si rivelano capaci di generare significati e percorsi che nemmeno noi adulti avremmo immaginato? Questo per me è il cuore del lavoro educativo: non solo trasmettere conoscenze, ma creare uno spazio in cui ogni bambino e bambina possa sentirsi libero di esplorare, sbagliare, riprovare e, soprattutto, crescere con fiducia. Quando un educatore valorizza lo sforzo più che il risultato, quando celebra un’idea fuori dagli schemi, anche se ‘sbagliata’, in quel momento sta dando al bambino qualcosa di molto più importante di un semplice apprendimento: la consapevolezza che il suo valore non dipende dalla perfezione, ma dal coraggio di essere sé stesso”.
Un ruolo centrale nella costruzione della resilienza
La capacità della figura dell’imperatore di mantenere serenità e determinazione anche di fronte a situazioni complesse diventa un modello per i bambini. Questi, attraverso l’osservazione, imparano ad affrontare le sfide in modo costruttivo.
“Ogni interazione educativa ha il potenziale di insegnare strategie emotive fondamentali: quando un educatore riconosce i piccoli successi di un bambino, sta contribuendo a costruire una percezione di efficacia personale. Questo tipo di riconoscimento alimenta il coraggio di provare, di esplorare e di affrontare nuove esperienze senza il timore del fallimento”.
Il gioco: educare senza pressioni
L’educatore gioca un ruolo determinante nello sviluppo dell’autostima, accogliendo il bambino in maniera incondizionata, indipendentemente da ciò che fa o dai risultati che ottiene.
“L’accettazione totale, quel ‘ti vedo e vai bene così come sei‘, è la base su cui si costruisce un senso di valore personale saldo. È qui che dobbiamo riflettere: in un contesto educativo, troppo spesso rischiamo di ‘stressare’ i nostri bambini. Li spingiamo verso obiettivi o risultati che, a volte, non corrispondono affatto alle loro inclinazioni o ai loro bisogni reali”.
“Questa pressione può minare la loro fiducia e il piacere stesso di imparare. Per questo motivo, ritengo essenziale rivalutare il gioco come strumento centrale nello sviluppo emotivo, cognitivo e sociale del bambino. Il gioco non è, e non dovrebbe mai essere considerato, un semplice passatempo. È molto di più: è il linguaggio naturale dell’infanzia, uno spazio sicuro dove il bambino si confronta con se stesso, sperimenta ruoli, costruisce mondi e apprende senza l’ansia del risultato”.
E ancora: “Nel gioco non ci sono aspettative rigide da soddisfare né obiettivi prefissati da raggiungere; c’è solo la libertà di essere, di creare e di immaginare. È in questo contesto che i bambini imparano ad affrontare problemi, a risolverli e, soprattutto, a divertirsi nel processo”.
Gratificare, non demolire
Fondamentale è anche l’uso delle parole. Parole specifiche, incoraggianti, orientate agli sforzi e ai processi, anziché ai risultati. L’esperto ha spiegato che dire “Hai lavorato con impegno e creatività su questo disegno!” è molto più potente di un generico “Bravo”.
“Questo approccio rafforza il senso di competenza del bambino e promuove anche una percezione positiva e realistica di sé, che è alla base della crescita di una persona sicura, resiliente e capace di affrontare il mondo. È un lavoro complesso, perché ci impone di ‘vendere’ meno certezze e più possibilità, di abbandonare la tentazione di fornire risposte preconfezionate per lasciare spazio a domande aperte e percorsi inediti”.
“In questa apertura, però, risiede la vera ricchezza dell’educazione: non insegnare ai bambini come essere adulti, ma accompagnarli nel diventare pienamente sé stessi, secondo il loro ritmo, le loro intuizioni e la loro immaginazione. Questo, credo, è l’atto educativo più autentico e rivoluzionario”.
“Il rapporto tra educatore e bambino può diventare un elemento di vulnerabilità?”
Il rapporto tra educatore e bambino, spiega il dottor Bufalino, è un legame carico di potenzialità, perché può diventare un motore straordinario per la crescita, ma è anche fragile, perché si basa su una relazione profondamente asimmetrica.
“Da una parte c’è l’educatore, una figura adulta che rappresenta guida, modello, sicurezza; dall’altra c’è il bambino, che si affida con tutta la sua vulnerabilità e la sua fiducia. Questa relazione, se gestita con cura e professionalità, può essere un pilastro fondamentale per lo sviluppo del bambino. Ma, al contrario, se viene tradita nei suoi confini etici e pedagogici, può trasformarsi in un fattore di rischio, persino di vulnerabilità”.
“La prevenzione di comportamenti impropri, o nei casi estremi di abusi, richiede una visione ampia e interventi su più livelli. Prima di tutto, credo sia essenziale riconoscere che il potere relazionale insito nel ruolo dell’educatore non è neutrale. Deve essere gestito con grande responsabilità e piena consapevolezza del proprio ruolo. Formare gli educatori su questi temi non è solo importante, è indispensabile”.
Non si tratta semplicemente di insegnare tecniche o regole, “ma di sensibilizzarli in modo profondo ai segnali di disagio, ai confini personali del bambino e alle dinamiche che possono sfuggire di mano. Ad esempio, percorsi formativi di qualità dovrebbero fornire strumenti e conoscenze aggiornate per riconoscere tempestivamente situazioni di rischio e, soprattutto, per intervenire in modo rispettoso ed efficace”.
Un supporto per gli educatori
Ebbene, è un lavoro complesso, che richiede professionalità, ma anche una profonda etica del rispetto e della cura. Allo stesso tempo, è cruciale costruire una cultura della supervisione e del sostegno continuo.
L’esperto ha affermato che “gli educatori non possono essere lasciati soli. Nessuno, per quanto motivato o preparato, può affrontare le sfide emotive e relazionali di questo lavoro senza un sistema che offra momenti di confronto, supporto e riflessione. Supervisione significa osservare, discutere, condividere esperienze con colleghi o con figure esperte”.
“Non è un controllo punitivo, ma una risorsa che aiuta a prevenire errori e a scaricare le pressioni inevitabili del lavoro educativo. Uno stress non gestito, infatti, può portare a comportamenti disfunzionali, e qui sta un altro rischio: un educatore lasciato senza sostegno può diventare, a sua volta, una figura vulnerabile”.
L’abuso infantile: una realtà ai margini del dibattito pubblico
L’abuso infantile nelle scuole dell’infanzia è una realtà che troppo spesso rimane ai margini del dibattito pubblico, oscurata da un senso di disagio collettivo nel riconoscerne la gravità.
Eppure, è proprio il silenzio a renderlo ancora più insidioso. Come educatori, studiosi e professionisti, abbiamo la responsabilità di affrontare questa tematica con fermezza, promuovendo una cultura della prevenzione che sia radicata nell’etica, nella professionalità e nella cura.
Nidi e scuole come ambienti sicuri
I nidi e le scuole dell’infanzia devono rappresentare un ambiente sicuro, dove il rispetto per il bambino, la sua dignità e il suo benessere siano al centro di ogni relazione. La prevenzione richiede impegno su due piani complementari: da un lato, l’educazione e la sensibilizzazione degli adulti; dall’altro, la formazione diretta dei bambini stessi.
Educazione all’affettività: il ruolo dei bambini
I bambini devono essere coinvolti in percorsi di educazione all’affettività che li aiutino a comprendere che il loro corpo è un territorio inviolabile. Devono sapere che hanno il diritto di sentirsi al sicuro e possono dire “no” di fronte a situazioni di disagio. È essenziale che imparino a rivolgersi a un adulto di fiducia se percepiscono un problema.
Questo tipo di educazione non deve generare paura nei bambini, ma piuttosto consapevolezza e fiducia in se stessi. Esperienze internazionali dimostrano che un approccio educativo mirato permette ai bambini di riconoscere situazioni inappropriate e di chiedere aiuto. Non solo, rafforza la loro autonomia e promuove una cultura del rispetto e della protezione.
Videocamere: utili ma non risolutive. La prevenzione nasce dalle relazioni umane
Nel dibattito sulla prevenzione dell’abuso, spesso si propone l’uso di videocamere come strumento di monitoraggio negli ambienti scolastici. Le videocamere possono rappresentare un supporto utile in contesti specifici, soprattutto dove vi siano criticità o necessità di supervisione. Tuttavia, esse non possono sostituire la centralità delle relazioni umane e della trasparenza educativa.
La vera prevenzione non può essere affidata esclusivamente alla tecnologia. Essa deve nascere dalla qualità dell’ambiente educativo, dalla formazione degli educatori e dalla costruzione di un clima di fiducia reciproca tra educatori, bambini e famiglie. Le telecamere non devono compromettere la spontaneità delle interazioni educative, trasformando la scuola in un luogo sorvegliato più che vissuto.
Valutazioni psicologiche per le maestre: controllo o supporto?
“Ritiene che le maestre della scuola dell’infanzia dovrebbero essere sottoposte a una valutazione psicologica regolare? In che modo questa potrebbe contribuire a garantire la sicurezza e il benessere dei bambini? Quali elementi andrebbero considerati?”
L’esperto ha risposto alla precedente domanda, spiegando che, probabilmente, il termine “valutazione psicologica” “potrebbe evocare connotazioni negative, legate a un’idea di controllo o giudizio. Piuttosto, si dovrebbe parlare di un percorso di sostegno e supporto professionale”.
Un percorso di supporto potrebbe concretizzarsi attraverso colloqui regolari con esperti del settore, figure in grado di ascoltare e comprendere le difficoltà individuali e professionali degli educatori. Non si tratta solo di affrontare eventuali sfide personali, ma anche di analizzare e migliorare il contesto lavorativo nel suo complesso.
Lo stress: un problema sistemico
Lo stress degli educatori non è quasi mai un problema isolato. “Spesso nasce da dinamiche di gruppo, da un carico organizzativo mal distribuito o dalla mancanza di spazi per condividere e rielaborare le proprie esperienze professionali. Integrare questi colloqui con momenti di supervisione condivisa potrebbe trasformare il lavoro educativo in un’esperienza partecipativa e collettiva“.
Questo approccio preventivo e costruttivo migliorerebbe il benessere degli educatori e la qualità dell’esperienza educativa dei bambini. Investire nel benessere psicologico e professionale degli educatori significa costruire le fondamenta di una scuola più forte, più umana e più consapevole.
Cruciale riconoscere il valore degli educatori
Infine, il tema solleva questioni cruciali: una selezione rigorosa in ingresso, una formazione di alta qualità, esperienze sul campo per consolidare le competenze e un adeguato riconoscimento sociale ed economico del ruolo degli educatori. Solo così si potrà garantire un futuro educativo all’altezza delle sfide contemporanee.
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