Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov

Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov

Il nostro modo di conoscere è spesso analogico, soprattutto quando ci si avvia nel terreno minato dell’assoluta novità. È per questo che, piacevolmente spiazzati da una ventata di aria fresca in una giornata di caldo afoso, si tenta di capire come inquadrare Il Maestro e Margherita di Bulgakov.

E anch’io necessariamente mi afferro al Satyricon di Petronio, alla satura lanx, un piatto ricco di prelibatezze, al pastiche, miscellanea di generi letterari, per determinarne alcuni confini conosciuti. Ma in realtà questo senso di spaesamento, come già avrete intuito tra le righe, è immediatamente superato da un’ebbrezza dello spirito – uso volutamente questo termine. Si è invasi, arricchiti da tre filoni principali, quello di un amore che supera ogni limite del Maestro e Margherita, quello di Ponzio Pilato durante la passione del “mite predicatore” Jeshua Ha-Nozri e l’altro del mirabolante spettacolo della simpatica compagnia demoniaca.

Quest’ultima si richiama al Faust, ma con una tale leggerezza che non potremo più fare a meno del nostro gatto Behemoth, perché in effetti ci aiuta a tollerare persino un regime dittatoriale, come quello sovietico che ci ha sottratto il godimento di questo capolavoro fin quasi alle soglie degli anni ’70. Bulgakov si riflette, infatti, in Ivan Bezdomnyj, che soffre fino alla follia proprio come l’autore, e naturalmente nel Maestro, talentuoso scrittore il cui manoscritto risorge dalle fiamme, dov’era stato gettato per sfuggire al MASSOLIT (l’organo russo della propaganda per il controllo della letteratura).

E naturalmente anche lo stile si adatta ad ogni storia, ad ogni atmosfera, andando da un linguaggio scanzonato e popolare ad uno epico-apocalittico, proprio com’è la nostra vita.

Il sole stava già calando sul Monte Calvo, e la montagna era circondata da una duplice fila di soldati.

Quell’ala di cavalleria che aveva tagliato la strada al procuratore verso mezzogiorno s’era diretta al trotto verso la porta di Hebron. La via le era già stata aperta, I fanti della coorte di Cappadocia avevano spinto da parte a furia di colpi l’assembramento della folla, dei muli e dei cammelli, e l’ala, trottando e sollevando al cielo bianche colonne di polvere, era bloccata a un crocicchio dove s’intersecavano due strade: una meridionale, che conduceva a Bethlehem, e una nord-occidentale, che portava a Giaffa. […]

Quando i condannati furono condotti sul colle, Levi Matteo correva accanto allo sbarramento dei soldati nella folla dei curiosi, sforzandosi in tutti i modi di far sapere a Jeshua che almeno lui, Levi, era lì, che non l’aveva abbandonato in quell’ultimo cammino, e che pregava che la morte di Jeshua giungesse il più rapidamente possibile. Ma Jeshua, lo sguardo perso nella lontananza, naturalmente non lo vedeva.

 

Buona lettura e buone riflessioni 🙂

Cinzia Di Mauro, autrice catanese di una trilogia di fantascienza Genius (finalista Urania e Delos) Ledizioni Milano,  di un noir umoristico La storia vera di un killer nano (segnalato al Premio Calvino e scelto dalla Nabu), di un fantasy orwelliano Casa Bruiswiq, di un thriller sull’alta finanza In cima alle torri e di I love Meteorite, romanzo grottesco su una famiglia e un mondo distopico.

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