Cultura

“I titoli di coda di una vita insieme” di Diego De Silva

I titoli di coda di una vita insieme“. Con questa frase vicina all’opera di una mente creativa sui muri del cortile di un liceo, lo scrittore Diego De Silva, firma dei romanzi che hanno per protagonista “l’avvocato d’insuccesso” Vincenzo Malinconico dai quali è stata tratta la serie tv prodotta e trasmessa da Rai 1, torna in libreria con una storia ambientata sulla quarta di copertina di un matrimonio che un tempo fu creduto sigillo.

Credit Google/Ibs

Venticinque anni di vita insieme sono scivolati nel fiume d’inchiostro della lenta stesura di un romanzo che un giorno, all’improvviso, si ritrova trascinato nelle aule di un tribunale. Alcune pagine sono malconce, altre sprigionano profumi di lancette in giro per paradisi di pace, catalogate nella sezione riservata alla stagione dei giorni di luce.

Alice e io ci vogliamo bene. Per questo ci stiamo lasciando”. Alquanto surreale si presenta l’incipit di un romanzo che analizza la storia di una separazione. L’io narrante così delicato con il parcheggio ben incastrato delle parole non può che tradursi nella persona di Fosco, l’uomo, il marito, la metà di un matrimonio finito sulle scrivanie di giudici e avvocati informati del logout di una storia d’amore. Dal balcone di una convivenza risulta più semplice guardare con occhi estranei l’errore moltiplicato fino a sfinire il rapporto, fissarlo mentre giace disteso nella coscienza avara di parole che avrebbe potuto sanare il debito con la promessa.

Due avvocati per due identità adesso separate dalla qualifica indicata con “coppia”, il nome ben saldato di un uomo e una donna. La voce della legge riceve ordini da norme adunate su moduli a servizio delle formalità burocratiche. Fogli su fogli invitano al deposito ufficiale di verità che al tramonto di udienze e colloqui meno formali serviranno sul piatto d’argento il successo professionale di questo o dell’altro legale. È intollerabile che la sterilità di un articolo del codice sia norma profetica del futuro di un letto condiviso per venticinque, poco dolci e molto amari, lunghissimi anni. Da qualche parte un non detto contagiato dal silenzio ostinato svuota i cassetti che avrebbero dovuto avere memoria di un dialogo prima che la crepa diventasse letto di un fiume per una barca senza remi.

“Io vorrei isolare il momento in cui ho visto la crepa e ho preso atto della fine, ma non lo trovo, perché non c’è. L’amore è discreto nel morire, non si lamenta e non fa scenate, non c’informa quando si ammala. Siamo noi a risponderne, e tutto quello che gli capita è colpa nostra.”

Fosco e Alice sono due universi paralleli attorno a un nodo troppo complicato per sciogliere le tensioni paralizzate nell’anima. Insieme scelgono un esilio confidando nel potere terapeutico della distanza alla quale consegnano il compito di restituire vigore alla loro fetta di cielo.

Luogo eletto alla missione è la casa di famiglia di Fosco bambino, territorio di ricordi dell’infanzia che lo scrittore ritrova negli odori e nei sapori impressi sui vestiti degli affetti più cari, gli amici, il paese testimone dei suoi piccoli anni. Il passato ritorna con un reclamo pressante di risposte che una storia d’amore ha tutto il diritto di avere. Non è presunzione del brivido fin troppo esigente perché nessuno mai ha previsto il suo ingresso. Ci si avvicina e ci si allontana con uno spasimo fuori programma che timbra nel petto un sigillo innocente. Succede.

L’isola di casa per un rapporto in fin di vita prova l’inversione degli errori sparsi nel giardino che un tempo accolse un seme inconsapevole del frutto che sarebbe diventato. Nemmeno un trattato di psicologia riuscirebbe a tradurre in chiave letteraria la fine di un rapporto elaborato senza accuse, solo delle angosciose, tormentate scuse.

Alla fine del viaggio ritorna con una presenza più incisiva l’incipit del romanzo che in prima lettura appare figlio di un ragionevole dubbio: “Alice e io ci vogliamo bene. Per questo ci stiamo lasciando“.

Due, sono due le storie d’amore vissute lanciando in aria un dizionario di pietre, quelle che per una statua di sale sono le esche del vento, e per l’orecchio di vetro valgono come ingredienti di un imperituro rancore.

Nessuno conosce nessuno al bivio del non detto perché così è stato deciso dall’onda nervosa nel mare in piena tempesta. L’ amore si è dileguato dalle pareti del silenzio che tanto lo hanno mortificato, oppresso. Il primo sintomo è stato nessun sintomo, un muto logorio dilatato nel tempo e nello spazio condiviso per anni, tanti, ancora uno, e poi ancora un altro anniversario della tensione verso l’estraneo che dorme nell’altra metà del letto.

Appartiene a Fosco il compito di scrivere le ultime pagine di una storia d’amore assemblata alla polvere che vegeta sotto un tappeto a due volti. Al lettore la disamina dei titoli di coda vale in risposta all’interpretazione letteraria di un labirinto freddo come due vuoti insieme.

Sara D'Angelo

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