“I quaderni botanici di Madame Lucie” di Mélissa Da Costa

“I quaderni botanici di Madame Lucie” di Mélissa Da Costa

Il buio del lutto ci fa vedere distintamente tutti i particolari sfuggiti alla verità del sole. Perché la trasparenza di una figura in bianco e nero si offre volentieri alla confessione di promesse segrete.

Il dolore per la perdita di un proprio caro possiede delle fattezze ultraterrene che di umano non hanno nulla. La realtà deforma il piedistallo delle certezze dove, con l’insana speranza del “per sempre”, si pensa di costruire roccaforti sul terreno dell’umana natura.

La giovane Amande Luzin, una trentenne con un panorama di vita al riparo da curve pericolose davanti a sé, si imbatte nel colore rosso di un semaforo nemico dei giorni felici.

A primavera finita, la stagione del sole tradisce la promessa di far sgomberare nuvole e pensieri tristi colpevoli delle prime rughe. Amande perde all’improvviso la meta delle sue labbra mai stanche di incrociare l’altra metà con la fierezza di stupire l’amore. Perdere un marito e un figlio in grembo è una partenza maltrattata dalla parola fine quando si è ancora nel cuore del viaggio.

A mezzogiorno è già notte, la luce filtra dalle fessure di porte e finestre, acceca la bellezza del tempo sorpresa nel sonno. Da quel maledetto incidente, ogni nuovo giorno diventa sterile di voci adesso mute o peggio, in balìa di lacrime a cascata sul viso.

Amande sceglie la cura della fuga, perdersi senza lasciare traccia di sé, lontano dalla residenza del dolore che invece, la segue ovunque. Ignara della prepotenza di un lutto, la donna si rifugia in una casa presa in affitto nelle campagne francesi dell’ Auvergne, certa di ritrovare l’equilibrio emotivo azzannato dal destino. Una voragine profonda ha inghiottito il senso sicuro di protezione, non c’è temporale che possa suscitare vibrazioni contrarie quando ci si sente a casa della propria pelle.

Sentirsi tradita dalla vita genera in Amande una sensazione virtuale, alla pari di un lucido delirio durante la scalata di una montagna a mani nude.

Si propone lenta ma a piccole dosi costanti, la cura della malattia che non ha. Dopo il tuffo nelle acque torbide del dolore, liberarsi dalla salsedine richiede un processo di sedimentazione dei ricordi. Dei consigli dati a se stessa Amande prova a farne tesoro, da quale sostegno farsi illudere per non morire nel ricordo del passo a due?

Come primo segnale di guarigione la scelta del buio migliore può essere considerato un passaggio paradossale. Tra le sfumature di ogni verde della campagna francese, i fantasmi del dolore rinnovano le risorse di gioie antiche bloccando il flusso della felicità in attesa.

Nella proprietà privata di Madame Hugues, una signora non più in vita, Amanda trascorre le sue giornate da turista nelle camere che trasudano storie anonime. Quando il corpo dà l’addio, l’anima si espande a misura di stella. Oscura il male traditore, illumina il bene amato. Penombra soppiantata da raggi di luce è di certo l’anima di Madame Hugues i cui quaderni, agende e calendari vengono rinvenuti da Amanda durante una improbabile caccia al tesoro in soffitta. Pezzo dopo pezzo, le tessere a lutto del puzzle completo di cornice nera, cominciano a disfarsi una dopo l’altra. I quaderni di Madame raccolgono un promemoria di appunti di giardinaggio. Datate, ma alquanto minuziose ricette per apparecchiare le meraviglie della natura, sono scritte da una mano inzuppata di terra fertile solo dopo ore e ore di lavoro nell’orto. La devozione a Madre Natura salva da calura e siccità perfino un deserto sconosciuto a un uragano. Come non emozionarsi all’apparizione del primo germoglio, dei primi steli di fiori, da quel momento si avvia il conto alla rovescia della fecondazione, ed è dono, medicina miracolosa.

“La Terra è lì, appena oltre la porta, abbandonata ed incolta. Amande è una giovane donna di città , che non ha mai indossato un paio di stivali di gomma, eppure suo malgrado si trova a cedere; interra il suo primo seme, vedrà spuntare un germoglio: nella palude del suo dolore, una piccola, fragrante, promessa di futuro”

Dagli appunti disordinati al puntuale appuntamento alle prime ore dell’alba, Amanda raccoglie dalle ricette la possibilità di seminare nuova vita nel giardino incolore dei suoi pensieri. Giorno dopo giorno, si prende cura del fazzoletto di terra abbandonato, orgogliosa come non mai delle prime gemme verdi partorite dalla natura. Con le mani imbrattate di concimi, manciate di semi sparsi sul terreno benedetto dalla manna trasparente giù dal cielo, il profumo dei primi fiori, dei frutti maturi rasserena la mente turbata creando una nuova password per riaprire il file lasciato in stand-by dal dolore.

La rinascita dalla cura di sé collega un filo diretto alla liberazione da un giogo asfissiante. Come se fosse ramo di quercia, una foglia di rosa si fa bastare per sfuggire ai tentacoli della sofferenza.

Non rimarrà che il ricordo dell’ora con troppi minuti in carico sulle spalle di Amanda, ma siamo certi che la donna conserverà tutti i suoi perché nella tasca del riposo eterno.

Non dal titolo, ma dal sottotitolo “Per essere felici non si deve nascondere la tristezza” traspare il messaggio emotivo del romanzo di Mélissa Da Costa, giovane scrittrice francese al suo primo romanzo tradotto in Italia.

I quaderni botanici di Madame Lucie” suggerisce un ampio ventaglio di obiettivi attraverso cui rinascere insieme alle promesse disattese del futuro. Chi perdona chi non ci è dato saperlo, ma se un filo d’erba può guarire dalle tribolazioni del cuore, quale miracolo può superare l’àncora di un libro aperto nella pagina a misura di gioie rubate?