Da sempre i piccoli paesi convivono con le tradizioni radicate nelle coscienze degli abitanti. Dove non è mai entrato il cambiamento esiste ancora una possibilità di vita immune alle piaghe dell’anima. Nel tempo in cui il progresso non ha ancora bussato alla porta e l’uomo non è ancora distratto da illusioni manipolatrici del suo futuro, le acque scorrono senza alcuna paura di annegare nella palude imbastita dall’eccesso.
Chissà se il viatico letterario di Paolo Malaguti è stato compagno contrario al cambiamento che confonde il panorama lucido del giorno dopo e dell’altro ancora.
Il ritorno in libreria di Malaguti con “Fumana” libera nelle pagine ansiose di storia le antiche consuetudini per fortuna ancora lontane dalle contraddizioni che le alte maree del tempo distruggeranno a danno delle generazioni future.
1882
A Voltascirocco un paesino veneto una donna muore nel dare alla luce la sua bambina. Del padre non si avranno notizie, forse fuggito in America a cercare fortuna, forse sepolto dalle ceneri della sua latitanza.
La piccola si chiamerà Fumana come la nebbia che mantiene al sicuro i segreti, a volte li stanca, li disperde nel quadrato di cielo incerto dove prima o poi trovano rifugio i sogni andati in fumo. Fumana cresce protetta dalle cure del nonno, Petrolio, un umile pescatore con il quale trascorre anni di quiete. Superba la maestria dello scrittore mentre srotola sulle righe il quotidiano popolare della pianura padana abbandonato a valle dalle montagne. Le campagne sono accarezzate dal fiume che ad un tratto ne separa i confini per poi riprendere per mano le lunghe distese di campi che danno lavoro e sostentamento alle famiglie.
“Il problema era d’inverno: in quella parte di mondo, dove non sai dire con certezza cosa è terra, cosa mare e cosa fiume perché tutto è impastato e confuso, calano certi nebbioni che restano lì per settimane. Talvolta, quando c’è luna piena, non capisci nemmeno se è giorno o notte, perché quel lucore pallido di madreperla non cambia mai, e così o hai un orologio in tasca, o ti rassegni ad andare a letto quando hai sonno e ad alzarti quando ti svegli. Ed è un attimo dare di matto, e sentire all’improvviso la strana voglia di legarti una pietra al collo e buttarti in Po”.
Fumana cresce nel groviglio naturale di mare e di fiume, della terra succube delle mani sfiorite della povera gente già in piedi nell’ora in cui le stelle sono ancora sveglie.
Per Fumana ormai ragazza è tempo che venga allestita una nuova coperta di bene. Sarà erede della “Strigossa” del paese, Lena, ma per diventarlo dovrà conoscere i segreti delle erbe, il potere magico delle parole e il linguaggio dei segni che guariscono le ferite del corpo e dell’anima.
“Piuttosto, non appena imparò a mettere un piede avanti all’altro, dimostrò di avere una gran voglia di scoprire com’era fatto il mondo, perché quando poteva infilava la porta del casolare e partiva, una volta al paese, un’altra attraverso i seminati, un’altra ancora verso gli infiniti acquitrini delle valli”.
Fumana sarà una Strigossa? Fumana è una donna libera che ha scelto quali passi accompagneranno i suoi giorni, anche se dovrà misurarsi con il pregiudizio diffuso a macchia d’olio come la nebbia sperperata nel cielo sopra la landa di terra veneta. Fumana vivrà di nebbia solo nel nome, tanto altro bene l’aspetta ansioso di vivere il sole messo in pausa la sera per il giorno e viceversa. Fumana andrà incontro al suo destino con passi dissimili alla gente del tempo, cadrà nella catena dell’amore e di una maternità che non le appartiene. Non le sarà facile sbrogliare i nodi che l’hanno tenuta in ostaggio dal giorno in cui, nata orfana, subì la vita con magri bocconi, tutti amari.
Fumana fu tenuta in braccio da quel fazzoletto d’Italia disteso sulla pianura quale soggiorno allettante per il passo malfermo. La guerra però trasforma le rassicuranti colline in aghi puntati su giovani eroi promessi alla patria.
Di Fumana si scriverà ancora accerchiando il suo nome con aggettivi che mietono forza nella storia di una paladina dell’emancipazione femminile. Gli anni in casa della nebbia le hanno instillato una sana coscienza “di essere in grado di fare del bene, e di avere quindi un senso, un ruolo preciso in quella fetta di mondo nella quale era nata“.
Malaguti punta sulla resilienza delle povere vite affidate al grembo del mondo. Nel deserto degli affetti si riconosce lo spasimo di dolore ammutolito dalla tragedia, ed è proprio in quel domicilio di nebbia che matura il riflesso originale del proprio io allo specchio. Di tanto in tanto il passato tornerà nell’attimo furtivo di un ricordo che ha compromesso la lucidità dei sogni come non sono mai stati a causa di una fumana nemica della vita.
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