“Si, Francesca stava dormendo. I capelli sciolti e sparsi, l’espressione serena, felice, appagata. Non aveva mai veduto quelle emozioni sul suo viso, non le aveva mai rivolte a lui. Era tra le braccia di Paolo, che la stringeva a sé, sul proprio petto nudo. Anche il suo viso era tranquillo, mentre i sogni lo trasportavano in altri luoghi. Giovanni era impietrito. Per alcuni istanti non riuscì a pensare, a respirare, a muoversi. Quando lo fece, estrasse la spada“.
Firenze, 1285. Dante Alighieri accoglie la notizia con sgomento. Aveva conosciuto Paolo il Bello, ne aveva apprezzato la sua intelligenza, la sua bellezza. Sperava che l’atroce nuova fosse costruita da voci chiamate a stordire la verità, ma dopo aver indagato ebbe la conferma che l’assassinio era stato compiuto da una mano armata da delirio di possesso e gelosia. Giovanni Malatesta aveva ucciso i due amanti nella camera dove era stato consumato il vile tradimento.
Il destino di Francesca da Polenta è scritto nella sua immensa bellezza, brillante intelligenza, una cultura documentata dalla passione per la lettura, la poesia, le note musicali. Una donna estranea al tempo in cui viene regalata al mondo. Francesca da Polenta figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, viene condotta ai piedi dell’altare per volontà del padre dopo aver appagato l’ambizione della sua ascensione politica con l’unione della giovane con Giovanni Malatesta, un uomo deforme nel corpo, innamorato della bella Francesca sin dal primo incontro. Da quel momento Francesca conoscerà l’unione sterile d’amore che la condurrà in una spietata battaglia con se stessa, eroina e vittima della sua sorte in alternativa al convento. Dalla casa paterna dove Francesca ha ricevuto il privilegio di un affetto profondo, al consenso obbediente del matrimonio con Giovanni Malatesta, il nuovo tetto chiamato a proteggere le grazie della giovane donna si chiama preludio di morte.
L’incontro fatale con Paolo, cognato e fratello per la Chiesa, le concede un effluvio di luce a dissipare l’odore mal tollerato delle impronte di Gianciotto (così veniva chiamato per sottolineare la sua infermità) sulla pelle fresca di Francesca. Paolo il Bello incarna lo spirito romantico dei cavalieri protagonisti delle letture della giovane moglie del fratello, curato nell’abbigliamento e abile a proferire parole ispirate a sentimenti di tenerezza. L’idillio non ascolta la voce della ragione consapevole del suo equilibrio vacante, va incontro all’abisso attirato da due labbra protese a firmare il sigillo della passione. Non torneranno più indietro, le due anime hanno plagiato la carne divenuta amante per amore.
L’amore malato di Giovanni Malatesta convince il suo aspetto a deturparsi sempre di più, reclamato dal potere dell’odio verso il fratello Paolo, uomo di fascino, di conoscenza e nominato Capitano del popolo a Firenze. Paolo il Bello, fratello di Gianciotto e cognato di Francesca, assalito con prepotenza dalle fauci dell’amore, divora a piccoli morsi il frutto proibito di un giardino non suo, nessuna legge lo potrà salvare.
Il tormento di Gianciotto apre tutti i capitoli del romanzo, devastato dal senso di colpa per essersi lasciato dominare dalla furia del momento, folle di rabbia davanti a quel letto adultero ancora caldo di consumata passione.
Una linea astratta divide il romanzo in due cosmi paralleli, principiato dall’aura brillante di Francesca, così vivace, di fiamma e di fuoco il suo entusiasmo, luce raggiante della domus fiera custode della sua perla. Presto, molto presto, la malìa dell’amore estirperà la giovane aurora appena sorta all’orizzonte del creato. Il V canto dell’Inferno di Dante sarà ancora per poco pergamena bianca, il guerriero ingannato sta già preparando la spada intinta nel sangue che scriverà di due amanti uniti nell’amore e dannati nella morte.
“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte”.
Il Sommo Poeta loderà le doti intellettuali di Francesca che, assieme al suo Paolo, legge il romanzo cavalleresco dell’amore tra il cavaliere Lancillotto e la regina Ginevra.
“Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante“.
L’Inferno dantesco li accoglie con la compassione dovuta alla scia di sangue di due giovani assassinati nella notte del loro travolgente peccato.
Il fragore dell’anima più che i lineamenti del viso è offerto allo studio del lettore, inquietudini e tormenti scuotono le righe assieme ai palpiti procurati dall’emozione. L’intrigo miete sobbalzi, l’amore illecito fa tremare l’epicentro della coscienza. Le lunghe attese sfamano giorni infelici tra i corridoi del castello di Rimini, il segreto è sempre più labile, troppe le voci, troppe le confidenze a metà dispensate a cornice di un amore eterno con un posto nella storia. Il tempo della separazione da Paolo, impegnato nei suoi doveri militari, impegna Francesca alla misura dei minuti che la separano dal nuovo incontro pianificato con meticolosa cura, lontano dai possibili sospetti all’interno della corte.
Appuntamenti immorali avvicinano l’ora della morte esorcizzata dal riverbero delle candele abbandonate a se stesse.
“Ora che conosceva il sapore delle labbra di Paolo, la dolcezza e la forza del suo abbraccio, la passione che scaturiva dall’unione dei loro corpi, non poteva più privarsene“.
Il marito, il fratello, il cognato, violentato dalla menzogna in attesa di guaire.
La personalità di Gianciotto è interprete di un uomo addestrato alla collera, pronto a sguainare la spada al primo rifiuto contrario alla sua volontà. Solo con Francesca, moglie amata e desiderata, riesce a dare voce a sensibilità fino a quel momento impensabili, prodigio accorato dell’amore verso la sua sposa.
“Non ho più sentito il sapore della felicità, dell’amore, della vita. L’hai portato via con te e non mi hai permesso di essere più Giovanni“.
La scrittura di un romanzo storico richiede una ricerca bibliografica minuziosa che Manuela Raffa ha condotto con scrupolo intellettuale di alto livello. Le vicende politiche del XIII secolo sono approfondite nella loro interezza, la battaglia di Guido da Polenta risoluto a dominare la città di Ravenna, trova negli uomini della famiglia Malatesta i perfetti alleati per vincere i Traversari, la potente famiglia che estendeva l’egemonia sul territorio dal X secolo.
Manuela Raffa avvicina la figura di una donna dal nome in sosta nella memoria di una collettività spesso privata dai dettagli della vicenda.
Paolo Malatesta e Francesca da Polenta due metà di una luna eclissata dal dramma dei loro giorni, poesia immortale del nostro tempo custode di una passione chiamata peccato.