“C’era una volta adesso” di Massimo Gramellini

Chi meglio di lui poteva raccontare questo tempo che, come un gatto, girando su se stesso prova a mordersi la coda e nessuno, proprio nessuno dei tentativi va a buon fine. Chi, se non un giornalista e scrittore avvezzo per lavoro e per passione a registrare il margine di un minuto caduto nella voragine del tempo?

In ogni pubblicazione che può vantarsi della sua firma, Massimo Gramellini confeziona acrobazie emozionali sempre pronte al prossimo slalom da medaglia d’oro certa. Con “C’era una volta adesso” la sua scrittura pacata ci consiglia di scegliere un comodo divano da cui leggere la guerra al respiro dell’uomo.

Massimo Gramellini comunica l’arte di infondere sicurezza già dai primi minuti delle sue trasmissioni televisive, il suo carattere empatico si ritrova tutto nel racconto della cronaca quotidiana di un nucleo familiare stravolto dal Covid.

Si fa presto a trovare in casa un calendario scaduto solo pochi ieri fa, l’anno 2020 odora ancora di vernice fresca, o meglio, di inchiostro.
Sembra che la Terra abbia tenuto solo per sè l’acredine verso il suo inquilino distratto e distruttore, quando all’improvviso approfitta di uno starnuto per riversare tutto il rancore sul contadino che ha lasciato marcire il seme.

In un inverno come nessun altro la pioggia di pianto pretende asilo all’equilibrio fisico e psicologico dell’uomo. Un virus senza passaporto scavalca le frontiere diffondendosi a macchia d’olio nei cieli del pianeta Terra.

Mattia ha 9 anni, lo studio e il gioco riempiono la sua vita acerba sotto le ali protettive di mamma Tania ribattezzata T’ansia a causa dell’eccessiva apprensione alla crescita equilibrata e serena dei suoi due figli, Matteo e Rossana, una ragazzina alle prese con gli ormoni impazziti dell’adolescenza. Manca un padre. In effetti un padre c’è, o forse c’è stato. Poi l’amore ha deciso di godere le avventure con un domani in forse, e da quel momento un padre è diventato meteora lontano da casa.

I ritmi quotidiani vengono stravolti in un divenire sempre più in stato di allarme, non si va più a scuola, al parco, al centro commerciale. E il sabato sera la pizza sarà preparata in casa e consumata sul divano davanti alla TV, a guardare i grafici della curva dei contagi in un crescendo inarrestabile.

Ognuno sceglie la maschera da indossare e con quella affronterà mesi e mesi di letargo imposto. Sarà fatta di pile di libri, fornelli accesi per dare sfogo ai nervi contratti sempre più vicini all’esplosione, ci saranno maschere per coprire le vie aeree e maschere per liberare l’ingorgo dell’anima.

La convivenza forzata non è semplice da gestire specie se a T’ansia, Ross e Matteo si aggiunge Andrea o Andrei (il nuovo nome gli è stato dato da nonna Gemma), un marito quasi ex impossibilitato a tornare a Roma da Federica, la sua nuova fiamma ogni giorno sempre più cenere. Se l’assenza di dialogo indebolisce le maglie della catena emotiva, la convivenza costringe a inventare un nuovo modus vivendi per non essere divorati dal silenzio spettrale. Isolati dal mondo esterno ma fianco a fianco sotto lo stesso tetto, “I Promessi Divorziati” imparano a smussare gli angoli meno clementi del proprio carattere.

Un virus dalle origini sconosciute, incurabile, mortale, diventa sala d’attesa dove un uomo e una donna aspettano il turno di ritornare a vivere. Insieme? Non mancano le pause, le rincorse, le reazioni brusche provocate dalla stanchezza mentale, una porta che sbatte reclama il bisogno di un abbraccio.

Sembravamo precipitati dentro un esperimento esistenziale che l’assenza di ore d’aria rendeva ogni giorno più estremo. Nel chiuso ermetico delle case, le persone erano costrette a guardarsi negli occhi, qualcuna addirittura allo specchio, e non tutte reggevano lo sguardo“.

La vita scorre sottovoce in una nuova dimensione. Come la legge spietata di un dittatore sanguinario, il virus si arroga il diritto di affannare il respiro, spegnerlo per sempre nella solitudine di un letto d’ospedale, o peggio, dentro l’ambulanza perché i posti letto sono diventati privilegio dove rendere l’anima a Dio.

Il silenzio. Lo sento battere dentro di me, però non come un martello. Assomiglia a un tramestio di passi che all’improvviso viene spezzato da un grido. La sirena di un’ambulanza“.

Con l’uomo ridotto in clausura senza vocazione, Massimo Gramellini pone l’accento sul disagio esistenziale più che al virus sotto indagine dei microscopi di Premi Nobel e scienziati di fama internazionale.

Nel mondo di prima” si disprezzava la routine allo specchio sempre uguale a ieri, nei pomeriggi annoiati era consuetudine sentire la nausea di un’esistenza priva di stimoli da cui fuggire alla prima occasione, “nel mondo di prima” T’ansia si chiamava Tania e non somigliava ad una psicopatica mentre spruzzava disinfettante in giro per casa come se fosse un rito di iniziazione, utilizzando insoliti bastoncini d’incenso.

Quanti domani si dovranno aspettare per rivedere un viso guance comprese? Quel domani staremo più attenti a leggere l’angoscia dietro un sorriso, aggiungeremo qualche etto di vigore ad una stretta di mano, daremo più valore a quelle antipatiche lancette alle 7 del mattino.
Con la benedizione del cuore semplice di un bambino di 9 anni la finestra della speranza impara a fidarsi, ha già promesso di rimanere socchiusa aspettando la luna giusta. Al battesimo della Luce ritrovata l’ospite d’onore sarà la vita di miele da mille giorni in ostaggio di quest’Adesso.

 

 

 

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