Prosegue l’esperienza sulle montagne russe offerta dall’uscita di “Hello World“, l’ultimo disco dei Pinguini Tattici Nucleari. Un sound fresco, leggero, ma al tempo stesso caratterizzato da temi introspettivi e profondi ha reso l’album uno dei prodotti discografici più interessanti degli ultimi tempi.
Se la scorsa settimana abbiamo dato spazio alle prime 7 tracce del disco (clicca qui per leggere l’articolo), ora è giunto il momento di chiudere il cerchio, approfondendo le restanti 8.
“Ci sono certe notti – racconta Riccardo Zanotti – in cui alzo gli occhi al cielo e spero solo che arrivi qualche alieno per portarmi via da qui. Ad anni luce di distanza tutti i problemi, le sfide e le paranoie quotidiane sembrerebbero minuscole. Il mondo parrebbe un formicaio e i sensi di colpa di miliardi di persone perderebbero di significato. Tutti lavorerebbero per tutti. Vinceremmo e perderemmo insieme. Alieni parla di questo: scappare, magari anche solo con l’immaginazione, per riuscire a ridimensionare ogni cosa“.
“Più gente conosco
Più spero che un giorno
Arrivino gli alieni
A portarmi via“
Si percepisce, in quelli che sono dei versi ricorrenti nella canzone, la tendenza del cantautore ad attendere una qualche forma di liberazione. Un cambiamento che, a quanto pare, solo l’arrivo degli alieni può rendere effettivo e concreto. Insomma, l’unica via d’uscita da un mondo di preoccupazioni che, nonostante gli sforzi quotidiani, non sempre si riescono a ridimensionare.
È uno dei brani che meglio esprime il senso di comunità che, come i Pinguini stessi hanno sottolineato, caratterizza il loro repertorio. Un tratto distintivo che riesce a sconfiggere, nel suo piccolo, il forte individualismo che tendenzialmente caratterizza le forme d’arte più attuali.
Il frontman dei Pinguini si è espresso così sul brano: “Tutti noi abbiamo quell’amico che immancabilmente rovina ogni nostro tentativo di approccio al bar o in discoteca. È come se fosse stato messo lì dal destino, con il preciso intento di far andare male le cose. Fuck you Vincenzo è dedicata proprio a quell’amico a cui, per quanto possa essere imbarazzante, imbecille e inappropriato, vogliamo sempre e comunque bene“.
Ironia e affetto sono le parole chiave della nona traccia del disco, caratterizzata da un sound fresco e originale, incapace di uscire dalla mente di chi ha “commesso l’errore” di ascoltarla più di una volta. Un mix di fastidio e indignazione, smorzati però da un sentimento sincero che nemmeno lo spirito guastafeste del “Vincenzo di turno” può spegnere.
Un romanticismo invincibile, capace di resistere al tempo che passa, ai cambiamenti e anche al cinismo dei tempi odierni. È questo il messaggio veicolato dal testo del singolo che ha anticipato l’album, ancor prima di “Islanda”, uscendo su tutte le piattaforme musicali lo scorso 13 settembre.
Ciò che lo rende una hit però è soprattutto la particolarità del sound, che già al primo ascolto risulta difficile da togliere dalla mente.
“Ricordo che – racconta Zanotti per spiegare l’origine della canzone – un giorno particolarmente difficile, uno di quelli in cui ti costringi a entrare in studio per scrivere ma poi non ti viene nessuna idea, mi sono arreso e sono andato al bar. Lì, con un cappuccino in mano, mi sono messo a guardare fuori dalla finestra, cercando qualche ispirazione, un po’ per noia e un po’ per esercizio.
A un certo punto sono arrivati loro, due ragazzi con un cane, una bellissima coppia. Due che un tempo qualcuno avrebbe chiamato dei “punkabbestia”. Sembravano amarsi senza riserve, muovendosi lenti e felici per la strada con la sicurezza di chi non ha idea di dove andare. Lui le teneva la mano con una leggerezza mai vista, quasi sfiorandola, mentre procedevano incerti sul marciapiede. Ho cercato di leggere il loro labiale, ma non ci sono riuscito, quindi l’ho solo provato a indovinare.
L’ho trovata una scena molto romantica nella sua semplicità, quindi ho deciso di inventarmi una storia su di loro e di metterla in musica. Li ho immaginati erranti in un viaggio senza fine, come partecipi di un’eterna vacanza lontano dal mondo e dalle sue regole“. È così che, come spiega il frontman della band, è nata la decima traccia del disco.
Immaginate di innamorarvi di qualcuno perché amate la sua libertà e poi tenerla legata a voi stessi, privandola proprio di ciò che ai vostri occhi, fino a quel momento, l’ha resa unica e inimitabile.
È quello che succederebbe se si decidesse di mettere in gabbia una volpe, da sempre simbolo di libertà e astuzia.
Non sempre ciò che piace può essere nascosto e tenuto per sé. Strappato da sguardi indiscreti, chiuso in una campana di vetro affinché nessun altro lo sfiori o, anche più semplicemente, ne ammiri la bellezza. Basta pensare a ciò che accadrebbe se, per proteggere la propria rosa preferita, la si estirpasse dalle sue radici e la si riponesse in un vaso. Significherebbe condannarla a morte, dare il via al countdown dei giorni che la separano dalla sua fine.
“Mi hai raccontato, di un uomo a metà
Voleva ingabbiarti e portarti in città
Pensava potessi riempirgli il destino
Ma tu sei una volpe, mica un canarino“
Riuscire a non “incatenare” la persona amata è un’abilità meno diffusa di quel che si pensa. Lasciarle la libertà che vantava quando la si è conosciuta è forse la sfida più difficile per chi, senza accorgersene, confonde l’amore con l’ossessione. Per chi si lascia ammaliare così tanto dalla persona che ha di fronte da non riuscire a lasciarla andare, quando in realtà è proprio la capacità di lasciare liberi il più grande gesto d’amore che l’uomo possa fare.
È questo il tema principale di “Piccola Volpe“, un vero e proprio inno all’importanza di educare all’affettività. Un’esortazione ad amare, se necessario, anche in silenzio, in disparte, da lontano. Un invito a stringere senza soffocare.
“Amare una volpe è non volerne il ritorno“
In fondo amare una volpe significa amare anche la sua libertà. Accettare la possibilità che possa andarsene da un momento all’altro, voltando le spalle a chi gli sta intorno. L’unico modo che ha, in fondo, per non perdere se stessa, per non tradire la sua natura. Per non vivere dietro le sbarre di una gabbia che non le appartiene.
Un mondo distopico quello descritto dai Pinguini Tattici Nucleari in “Nativi digitali“, un pezzo sul “potere” della tecnologia pronta a insinuarsi sempre di più nella vita umana.
Ciò che la band bergamasca immagina, tra i versi del brano, è un futuro in cui le macchine prendono il posto degli uomini, vittime della loro “pigrizia”. Una resa a cui però non tutti decidono di conformarsi: un gruppo di uomini, incapaci di arrendersi al proprio “declino”, decide di continuare a condurre una vita lontano da codici e algoritmi. L’unico modo per preservare quel poco che resta di spontaneità e umanità.
“L’idea che un giorno lontano macchine e uomini si scontrino in una vera e propria ‘guerra esistenziale’ da sempre affascina la scrittura fantascientifica. Il tema – spiega Zanotti – intriga anche me, anche se penso che non ci sarà mai alcun conflitto: è grazie alla pace che le macchine vinceranno la guerra. Ci sono attitudini intrinseche nell’animo umano, prima fra tutte la pigrizia, che rendono la gara persa in partenza“.
Il mare come rifugio, un luogo dove conservare segreti, sogni e consapevolezze. “Bottiglie vuote” è un viaggio tra speranze, desideri, malinconia e sofferenze.
“Vorrei portarti al mare alle quattro di notte
Quando tutti dormono tranne le onde
Stare a guardare gli aerei che vanno a New York“
Sebbene il mare sia da sempre la meta più ambita nelle giornate di sole, affidarsi al rumore delle onde nelle ore notturne è un’abitudine molto meno diffusa. Una scelta molto più “elitaria” che, forse proprio per questo, diventa sinonimo di momenti di intimità e introspezione, attimi che non si condividono con chiunque.
Un omaggio a Giulia Tramontato, vittima di femminicidio a 29 anni, e al figlio Thiago, che la giovane portava in grembo. Un manifesto contro la violenza sulle donne, contro la prevaricazione e la presunzione con cui l'”uomo violento” per definizione pensa di poter decidere le sorti di chi gli sta accanto.
Dolore, impotenza e speranza sono le parole chiave del brano, un’altalena di sogni destinati a rimanere tali e di desideri per ciò che il futuro, anche se in un posto lontano, potrà riservare alle due vittime innocenti.
“Non si può cambiare il mondo con una canzone, ma – dichiara il frontman – se anche solo una melodia può far nascere un dibattito, allora ha già compiuto la sua missione“.
“Ma il mondo ha deciso per noi
Che siamo due vittime del senno di poi
Tramontano le nuvole, ma resterà il sole
Perché tu ti meriti un giorno migliore“
L’approfondimento sul brano “Migliore”
Se è vero che per ogni inizio c’è una fine, “Titoli di coda” rappresenta una degna conclusione del viaggio offerto dai Pinguini sulle note dei loro nuovi successi.
“Ringrazio il cielo
Perché mi ha fatto nascere incompleto
E le stelle non mi han dato ciò che cerco, ma almeno
Mi evito la noia di esser pieno“
La quindicesima e ultima traccia di “Hello World” rappresenta un saluto per tutti coloro che hanno accompagnato gli artisti bergamaschi in questo viaggio, un ringraziamento a chi non ha mai rinunciato a divertirsi, piangere ed emozionarsi sulle loro canzoni. Un abbraccio caloroso a chi, proprio come i sei membri della band, sa di non essere ancora arrivato a destinazione. A chi si sente incompleto perché ha sempre un nuovo obiettivo da perseguire. A chi si rifiuta di mollare, a chi ha scelto di esserci. E di restare.
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