ITALIA – Questa è la storia di Claudio Carastro, un 24enne di Paternò che ha scelto di essere fuori sede “al contrario”, con un lavoro al Nord, che però non gli ha impedito di laurearsi nella sua terra: la Sicilia.
La vicenda
“Pendolarismo estremo“, così lo definisce Claudio Carastro, il percorso che lo ha recentemente portato al conseguimento di una laurea in Economia Aziendale, facendo spesso avanti e indietro tra Catania e Milano.
Potrebbe sembrare la classica storia dello studente fuori sede che dal Mezzogiorno si sposta nel Settentrione, ma invece quella di questo giovane originario di Paternò, si differenzia notevolmente dalle vicende di quasi tutti i suoi colleghi. Infatti lui al Nord lavora in uno studio di commercialisti, mentre al Sud ha deciso di iscriversi all’Università di Catania, per dimostrare che le Università del Meridione non hanno niente in meno e nulla da invidiare rispetto a quelle del resto d’Italia.
La spiegazione di Claudio Carastro
Un percorso all’inverso durato quattro anni, che lo ha “costretto”, consapevolmente e ben lieto di farlo, a frequenti viaggi tra le due città. Un lasso di tempo tutto sommato anche contenuto, specialmente per uno studente-lavoratore che ha l’ufficio a 1.400 chilometri di distanza dalla facoltà. Ma come ci è riuscito e perché ha preso questa decisione? Lo spiega lui stesso sul portale di Skuola.net.
Come nasce il termine “pendolare estremo”, con cui definisci la tua vicenda studentesca?
“Mi è venuto in mente quando, durante la lettura di un bando per le borse di studio, lessi una tabella che riportava varie attribuzioni a seconda della distanza dello studente fuorisede. Si partiva dai “pendolari a stretto giro”, al di sotto dei 15 km di distanza, per poi proseguire a scaglioni. Ovviamente il mio caso era fuori da ogni schema, così pensai che, con una distanza di 1.420 Km non potevo che essere un “pendolare estremo”“.
Quante volte all’anno dovevi recarti fisicamente a Catania?
“Fondamentalmente per sostenere gli esami. Ma era comunque un sacrificio. Per rendere l’idea, la giornata tipo della “trasferta” aveva inizio alle 3 di mattina, dopo una rapida preparazione mi dirigevo in aeroporto, dove parcheggiavo l’auto. Il volo tendenzialmente partiva tra le 5.30 e le 6.00 ed era l’unico che mi permetteva, salvo imprevisti, i quali ovviamente si palesavano spesso, di essere presente per l’orario di inizio dell’esame generalmente alle ore 9.00/9.30. Durante il volo, 1 ora e 35 minuti, avevo modo di simulare l’esame nella mia mente, la quale si spegneva in una stanca dormiveglia.
Arrivavo a Catania, prendevo il bus che mi lasciava davanti la facoltà, il tempo di un caffè e successivamente entravo in aula. Finito l’esame, se restava ampio margine prima del volo di ritorno, che sovente partiva all’ultimo orario disponibile (22.30/23.30), rientravo volentieri al mio paese, a trovare la mia ragazza, gli amici e i parenti. Altrimenti, se avevo meno tempo, passeggiavo per Catania e attendevo l’orario per tornare direttamente in aeroporto. Il rientro avveniva, causa continui ritardi dei voli, verso le 2.00 di notte. L’indomani ricominciava la giornata di lavoro in studio, sicuramente con maggior vigore se l’esame era stato superato“.
Che “tabella di marcia” dovevi rispettare per conciliare un lavoro comunque impegnativo con lo studio a distanza?
“Il mio obiettivo è sempre stato quello di concludere il percorso acquisendo tutte le competenze e nozioni fornite dal programma di studio, per cui per la preparazione di una materia a volte necessitava anche di oltre un mese e mezzo di preparazione. Sfruttavo ogni momento libero della giornata: studiavo sul treno durante il tragitto verso lo studio con il quale collaboro ormai da alcuni anni, o mentre rientravo a casa, o durante la pausa pranzo, o ancora appena rientrato a casa, ecc. Sicuramente il weekend era il momento in cui massimizzavo gli sforzi, anche se ciò comportava dover rinunciare a molti aspetti legati alla vita sociale, per non andare eccessivamente oltre con le tempistiche del percorso“.
La strategia per andare avanti con gli esami, invece, qual era?
“L’iter base prevedeva il superamento per ciascun appello di due esami, per due materie differenti. La difficoltà principale che ho dovuto affrontare era la sfida costante con la consapevolezza di non poter sbagliare. Avevo un solo tentativo per ogni materia: lo ripetevo sempre a me stesso. Un passaggio a vuoto avrebbe comportato un dispendio ulteriore di energie e di soldi, un carico supplementare di stress, nonché lungaggini dei tempi di completamento. Ogni errore faceva slittare all’appello successivo. Con un approccio del genere sono riuscito a terminare il percorso di studi in poco più di 3 anni e mezzo, arrivando a 4 con la discussione della tesi“.
A questo punto la domanda sembra scontata: perché non hai scelto un corso di laurea a Milano? Sarebbe stato più comodo…
“La mia forma mentis, la mia istruzione, la mia crescita derivano tutte dal percorso fatto nella mia terra. Per cui, se da un lato le strade si sono divise per varie ragioni, dall’altro ho nutrito il sentimento di creare un legame indissolubile con essa, concludendo il mio percorso di formazione, per l’appunto, in Sicilia, la quale investe per me, come per tutti gli altri studenti, nella nostra formazione. E poi, in qualche modo, ho voluto dimostrare che le università al Sud sono valide tanto quanto le università del Nord“.
Oggi, alla fine del percorso, qual è il tuo bilancio di questa esperienza?
“La mia missione è man mano diventata, anche e non solo, una sfida d’orgoglio. Mi è stato spesso chiesto il motivo della mia scelta e, devo dire, molte volte ho pensato, soprattutto a metà percorso, di trasferirmi in un’università più vicina. Nel momento in cui, però, durante una normale conversazione a riguardo mi risposero: “Fai bene, così concludi velocemente visto che giù gli esami li regalano”, nonostante tu sapessi dentro di te quanto è difficile superare ciascuna prova e quanta ansia dovessi affrontare ogni volta. Allora ho sentito quasi il dovere di portare a termine ciò che avevo cominciato, al fine di poter sottolineare, qualora la vita mi avesse riservato anche semplici soddisfazioni a livello lavorativo, di essere laureato presso l’Università di Catania“.
A conti fatti, consiglieresti ad altri giovani una esperienza simile alla tua?
“A chi deve intraprendere un corso di laurea, più che la mia esperienza in senso letterale, consiglio di scegliere non in base al blasone dell’istituto in sé. Anzi, bisogna far sì che ognuno porti avanti il nome degli istituti della propria terra natale, in qualsiasi regione si trovino, anche al Sud, dove molte strutture hanno ben poco da invidiare al resto del Paese“.
Intanto, però, i dati sugli immatricolati ci dicono che ogni anno c’è un vero e proprio esodo di universitari dal Sud al Nord. Secondo te perché?
“Ritengo che gran parte degli studenti opti per un’università situata al Centro-Nord più che altro nell’ottica di un inquadramento lavorativo futuro più celere e immediato. Sono indiscutibili i legami e le porte d’accesso che varie facoltà al Nord offrono agli studenti. Mi sento però di evidenziare, per quanto riguarda l’università di Catania, l’organizzazione e la puntualità dei professori, oltreché le competenze in materia“.
Ora quali sono i tuoi piani per il futuro, sia a livello professionale che personale? Sceglierai Milano o Catania?
“A livello lavorativo, purtroppo, non è possibile al momento eseguire lo stesso ragionamento proposto a livello di istruzione. Ho provato ad approcciarmi al mondo lavorativo anche in Sicilia ricevendo, però, delle delusioni. Inoltre, per chi come me ha intrapreso un percorso in ambito economico e finanziario, Milano rappresenta il vertice in Italia. Attualmente, a livello professionale e personale, sto bene. In futuro si vedrà“.