ITALIA – “Leo amore mio, mi dispiace, sei la cosa più bella che mi poteva accadere, per la prima volta in vita mia penso e so cosa vuol dire amare qualcuno, ho paura di tutto, di perderti e non lo sopporterei. Perdonami amore mio, Leo si forte, ti amo“.
Sono le parole di Donatella, mamma di Leo, che si è tolta la vita in carcere, il 2 agosto 2022.
Da inizio anno, le persone che si sono suicidate nelle carceri italiane sono 47, un numero drammatico, superiore rispetto al passato, in quanto ha sicuramente inciso la pandemia con i suoi effetti di crescita dell’ansia, frustrazione nei rapporti e stress.
Ma le cause strutturali, le condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere, rimangono alla base dei comportamenti suicidi e autolesionisti.
È intervenuto ai nostri microfoni, Pino Apprendi, componente dell’Osservatorio carceri Antigone: “I suicidi sono aumentati in maniera esponenziale, la fascia d‘età interessata è quella dei 20 e 40 anni, persone che hanno tutta la loro vita d‘avanti. La pena, prevista dalla Costituzione Italiana è rieducativa e non punitiva”.
“Ma il carcere – continua Apprendi – è un inferno, non solo perché c‘è caldo, ma per la condizione in cui si vive. La pena dovrebbe essere rieducativa, ‘io ti aiuto a modificare il tuo modo di vivere’, ma ciò può avvenire all’interno di strutture ben predisposte all’accoglienza“.
L’Associazione Antigone, per esempio, dal 1998 è autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare i quasi 200 Istituti penitenziari italiani.
Per verificare e redimere un report in cui vengono descritte le condizioni strutturali, il clima detentivo, il rispetto della legislazione penitenziaria e altre caratteristiche salienti della struttura visitata.
Uno dei problemi maggiormente evidenti è quello del sovraffollamento, infatti, il numero del personale impiegato all’interno degli istituti e le strutture risultano spesso poco adeguate per lo svolgimento delle quotidiane attività, come è possibile leggere nel report “Il carcere visto da dentro, XVIII rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione“.
Il regolamento di esecuzione del 2000 che riguarda le celle – di cui sarebbe urgente un aggiornamento -, prescriveva che le “camere detentive” fossero dotate di doccia, riscaldamento adeguato e acqua calda.
Ma dalle osservazioni organizzate dall’Associazione risulta che in molti degli istituti visitati ci sono ancora celle che non rispettano queste condizioni.
Ciò significa che i detenuti vivono all’interno di carceri e stanze fredde, si trovano a dover fare la doccia fredda – anche nei periodi invernali -, e spesso a causa delle condizioni delle strutture, sono impossibilitati a svolgere attività basilari come la palestra, utile per il benessere psico-fisico dell’individuo.
Queste condizioni di malessere fisico, che poi si ripercuotono anche a livello mentale sull’individuo, si verificano anche nei periodi estivi, in quanto le alte temperature sono difficili da sopportare, soprattutto in territori come la Sicilia.
Lo dichiarano appunto Pino Apprendi, Francesco Leone e Vaccarella Giacinto dopo le verifiche delle condizioni minime di vivibilità: “Si sa che le condizioni di vivibilità del carcere non sono quelle che spesso la gente racconta come leggende metropolitane. Sono spazi molto limitati dove il caldo e il freddo hanno la stessa influenza“.
Pino Apprendi afferma ai nostri microfoni: “La morte in carcere passa sotto il silenzio, ma non solo il suicidio, anche le morti per malattia e anzianità. A Palermo è stato approvato il regolamento che istituisce il garante dei diritti dei detenuti“.
“Questo successo è stato ottenuto soprattutto grazie al ‘Comitato Esistono i Diritti’, che si è battuto per introdurre questa figura a tutela dei reclusi nelle carceri cittadine. Ma ancora si aspetta che il garante venga nominato” conclude Apprendi.