GENOVA – Clara Ceccarelli due settimane fa si era pagata il suo funerale. Non voleva gravare sull’anziano padre e sul figlio. Sapeva come sarebbe andata a finire. L’ex compagno lo scorso venerdì pomeriggio l’ha accoltellata a morte nel suo negozio, nel centro di Genova. Da quasi un anno, da quando cioè la loro relazione era finita, la perseguitava.
È la nona vittima di femminicidio nel 2021, più di una ogni settimana dall’inizio dell’anno. Numeri che dovrebbero fare orrore, che dovrebbero spingerci a interrogarci e agire alla radice di un male che nessuno pare voglia guardare davvero in faccia. Invece la conta continua e il sangue scorre.
Sono storie in larga parte simili. Un ex, un marito o un compagno (spesso violento) che reagisce con furia omicida all’idea che la sua donna voglia lasciarlo, che possa avere una vita che non lo contempli, che possa persino essere felice così. “Sua”, l’aggettivo possessivo non è usato a caso. Perché nella mente di questi individui esiste solo il possesso, nessuna possibilità per la donna di avere una propria identità, di esistere solo per se stessa.
“La donna appartiene all’uomo”, guai a provare a sfuggire a questo teorema partorito da menti piccole e insicure. Le stesse che hanno installato in sé il germe del patriarcato. Quello che produce un sistema malato che pone al centro di tutto l’uomo in quanto soggetto virile, che tutto decide e al quale tutto si deve, per il suo piacere e la sua soddisfazione. Con la complicità di una società in cui è talmente radicato da non riuscire a riconoscerlo come problema. Anzi, citare la sola parola “patriarcato” genera in chi la sente un senso di avversione, un’istintiva repulsione. Oltre a provocare un’immediata etichettatura negativa dell’interlocutore che si è permesso di pronunciarla. Se donna, ancora peggio, gli insulti di matrice sessuale si sprecano. Come sempre del resto, quando si tratta di attaccare un soggetto femminile.
La fantasia un po’ latita, come manca nel triste copione che si ripete a ogni maledetto femminicidio. L’assenza di amore (non si osi chiamarlo “malato”), il senso di possesso patologico, l’insicurezza inconfessata e inconfessabile – prima di tutto a se stessi-, la violenza, il desiderio maniacale di controllo sulla vittima. I campanelli d’allarme sembrano non mancare mai, eppure troppo spesso restano inascoltati. Talvolta anche da parenti, amici e conoscenti. Che, però, puntuali, appena a cadavere ancora caldo arrivano telecamere e microfoni, ne fanno un elenco minuzioso.
È anche per questo che quando una donna come Clara Ceccarelli, sentendo il pericolo imminente, paga il proprio funerale e muore nel modo atroce che temeva nessuno può dirsi innocente. La sua “resa” è colpa nostra, incapaci di opporci con fermezza allo stillicidio femminile, e di uno Stato che ancora non riesce a tutelare le donne e finisce per abbandonarle ai loro aguzzini. È, ancora una volta di troppo, una sconfitta per tutti, nessuno escluso.
Fonte foto: Facebook – Clara Ceccarelli