ITALIA – Pubblicato, come di consueto, il report degli esperti dell’Istituto Nazionale di Statistica relativo alle condizioni dei conti economici territoriali. Come sospettabile si conferma il divario tra le regioni del Nord Italia e quelle del Sud e una crescita debole a livello nazionale
Nel 2019, il Pil in volume è aumentato dello 0,5% nel Nord-est, dello 0,4% nel Nord-ovest, dello 0,3% nel Centro e dello 0,2% nel Mezzogiorno.
Il Nord-ovest, come sempre, mantiene il primo posto nella graduatoria dei livelli di Pil pro capite, con un valore in termini nominali di circa 37mila euro. Tale valore, però, rappresenta quasi il doppio di quello del Mezzogiorno, pari a poco più di 19mila euro annui.
Inoltre, secondo lo studio svolto dagli esperti, le famiglie che risiedono nelle regioni del Nord-ovest dispongono del livello di reddito disponibile per abitante più elevato a livello nazionale, pari a 22,6mila euro, vale a dire quasi il 60% in più rispetto alle famiglie del Mezzogiorno (14,2mila euro).
Rimanendo sull’analisi del prodotto interno lordo, nel Nord-Ovest, quest’ultimo è cresciuto dello 0,4%, valore poco sopra la media nazionale. A rallentare la crescita è la dinamica negativa dell’Industria (-0,6%), dell’Agricoltura (-2,6%) e degli Altri servizi (-0,3%), mentre il valore aggiunto delle Costruzioni è aumentato del 2,3%.
Nel Sud Italia, invece, la crescita è più lenta e sotto la media nazionale, ovvero pari a 0,2% (la metà rispetto alle regioni del Nord). Più contenuta anche la spesa delle famiglie, pari a +0,4%, con la Sicilia in fondo alla classifica.
Per quanto riguarda le regioni del Centro, la crescita si è attestata a +0,3%, in linea con la media nazionale, con gli aumenti più consistenti nel Commercio (+1,9%) e nelle Costruzioni (+1,2%); contrazioni si segnalano, invece, per Agricoltura (-2,5%), Industria (-1,1%) e Altri servizi (-0,6%). Sopra la media nazionale, invece, è la spesa delle famiglie residenti nel Centro Italia (+0,8%).
Dato positivo per il Meridione è quello concernete il reddito disponibile delle famiglie, cresciuto dell’1% a livello nazionale, mostra una dinamica superiore alla media al Sud (+1,5%), di poco inferiore nel Nord-est (+0,9%), nel Nord-Ovest e nel Centro (entrambe con +0,8%).
“A livello nazionale l’input di lavoro complessivo, misurato in termini di numero di occupati, è aumentato nel 2019 dello 0,5%. La crescita non è stata omogenea in tutte le ripartizioni – spiegano gli esperti -. Più nel dettaglio, la tradizionale dicotomia tra Nord e Sud viene confermata da una crescita dell’occupazione sensibilmente al di sopra della media nazionale nel Nord, grazie principalmente al contributo del Nord-est. Il Centro e, soprattutto, il Mezzogiorno fanno registrare invece incrementi inferiori“.
Nel Nord-est gli occupati risultano in crescita dell’1,2% rispetto al 2018, essenzialmente grazie all’aumento dell’1,4% nei Servizi e dello 0,9% nelle Costruzioni, cui si contrappone una lieve diminuzione, pari a -0,2%, degli occupati in Agricoltura.
Nel Nord-ovest la crescita dell’input di lavoro (+0,6%) è lievemente superiore alla media nazionale, per effetto di un incremento consistente del numero di occupati in Agricoltura (+3,4%) e di aumenti più contenuti nell’Industria (+0,8%) e nei Servizi (+0,5%), mentre le Costruzioni hanno fatto registrare una contrazione dello 0,4%.
Al Centro l’occupazione nel 2019 è cresciuta dello 0,3%, sintesi di un aumento degli occupati nei Servizi (+0,5%) e di flessioni generalizzate in tutti gli altri settori produttivi.
Infine, il complesso degli occupati nel Mezzogiorno è aumentato solo dello 0,1%, con una dinamica positiva solo per il settore dei Servizi (+0,3%); le Costruzioni registrano una flessione di quasi due punti percentuali e l’Industria (-0,3%) e l’Agricoltura (-0,1%) riduzioni contenute.
Nel 2018 è Milano la provincia con il valore aggiunto per abitante più elevato, pari a 50,1mila euro, quasi il doppio della media nazionale (26,3mila euro). Seguono la Provincia Autonoma di Bolzano- Bozen, con oltre 42mila euro, e Bologna con 37,3mila.
Con 13,5mila euro, Agrigento e Caltanissetta hanno il valore aggiunto per abitante più basso; in posizione solo marginalmente migliore si trova il Sud Sardegna, con circa 13,7mila euro.
Anche l’apporto dei Servizi del commercio, di ristorazione e dei trasporti e telecomunicazioni è più elevato nella provincia di Milano (15,9mila euro per abitante); seguono Bolzano con 12mila euro e Roma e Genova con circa 10mila euro. Il valore più basso si registra a Enna, Caltanissetta e Sud Sardegna, tutte con 2,8mila euro per abitante.
Il peso dell’Industria è particolarmente rilevante in molte province del Nord-est, in particolare in quelle di Modena (12,6mila), Vicenza (12,2mila euro) e Reggio nell’Emilia (11,8mila). Il valore aggiunto pro capite dell’Industria è, invece, pari a circa 800 euro a Caltanissetta e Reggio Calabria.
A colpire fortemente il sud Italia è l’economia non osservata (somma della componente sommersa e di quella illegale). L’incidenza di quest’ultima, infatti, è molto alta nel Mezzogiorno, dove rappresenta il 18,8% del complesso del valore aggiunto, seguita dal Centro (13,8%). Sensibilmente più contenuta, e inferiore alla media nazionale, è l’incidenza nel Nord-est (10,9%) e nel Nord-ovest (10,3%).
“Il peso relativo delle tre diverse componenti dell’economia non osservata si conferma anche a livello ripartizionale; a pesare di più è ovunque la rivalutazione da sotto-dichiarazione che raggiunge un picco nel Mezzogiorno (pari all’8% del valore aggiunto) mentre registra nel Nord-ovest l’incidenza più contenuta (4,7%) – sottolinea l’Istat -. Anche la quota di valore aggiunto generato da impiego di lavoro irregolare è significativa nel Mezzogiorno, dove si attesta al 7,5%. L’incidenza risulta lievemente superiore alla media nazionale (pari al 4,9%) al Centro (5%), mentre è inferiore nelle altre due ripartizioni (3,8% il Nord-ovest e 3,9% il Nord-est)“.
Ma se nel triennio del 2017-2019 la crescita si è confermata debole, la domanda che molti si pongono è quali saranno le condizioni dei conti economici dopo questa pandemia. La paura degli esperti, da molti quasi una certezza, è ricadere nel baratro di una recessione peggiore di quella del 2008.
Immagine di repertorio