ITALIA – 47 anni fa avvenivano in maniera concatenata, ma in luoghi distinti, due degli omicidi che hanno segnato la storia italiana, cioè quelli di Aldo Moro e Peppino Impastato. Era il 9 maggio 1978 quando, in maniera quasi “sincronizzata”, venivano brutalmente assassinati. Uno nel Lazio, precisamente a Roma, l’altro in Sicilia, a Cinisi, in provincia di Palermo. Entrambi segnati da un destino comune e al tempo stesso avverso.
Aldo Moro e Peppino Impastato
In ordine temporale, il primo omicidio, cioè quello del giornalista/attivista Giuseppe Impastato, detto “Peppino“, avvenne nella notte tra l’8 e il 9 maggio. Era uno dei membri della Democrazia Proletaria, conosciuto per le sue numerose denunce contro i traffici loschi di “Cosa Nostra“.
La situazione conflittuale tra padre e figlio
Proprio lui, che la mafia ce l’aveva in casa, come si suol dire in questi casi. Ebbene sì, suo padre infatti era un mafioso molto legato a Cosa Nostra, nonché complice di Gaetano Badalamenti, capomafia di Cinisi. Insomma, padre e figlio completamente in contrapposizione e agli antipodi. Il primo legato e invischiato nelle maglie della criminalità organizzata, e il secondo che invece combatteva quest’ultima con tutto se stesso.
Motivo per cui, ben presto le loro strade si divisero, ognuno prendendo una via diversa. Peppino Impastato infatti, decise d’interrompere i rapporti con il genitore, ma egli non fu da meno e non restò indietro, in quanto cacciò il figlio fuori di casa proprio per le troppe “divergenze di opinioni/vedute“.
Il giornalismo e la politica
In seguito avviò un’attività politico-culturale di sinistra, basata sull’antimafia. Qualche anno più tardi fondò “Radio Aut“, una radio libera e autofinanziata, mediante cui denunciava i crimini e gli affari dei mafiosi del Paese, in parte quasi “deridendoli“, anche in maniera grottesca e con una buona dose di satira, in un certo senso “prendendo in giro” delinquenti e determinati politici.
Chiaramente questo atteggiamento di Impastato, così “arrogante” e “provocatorio”, non andava bene a coloro che venivano “colpiti” dalle sue denunce. Impastato perseguì la sua linea di condotta, senza lasciarsi intimorire dalle tante minacce ricevute. Addirittura successivamente, si candidò alle elezioni comunali, nella lista di Democrazia Proletaria, nonostante le continue pressioni da parte della comunità locale.
L’omicidio
Purtroppo però, non fece neanche in tempo a venire a conoscenza del risultato delle votazioni. Questo proprio perché venne ucciso quando la campagna elettorale era ancora in corso. A commissionare l’omicidio fu proprio Badalamenti. Tentarono di farlo sembrare apparentemente un suicidio o attentato non andato a buon fine, scagliandogli contro un sasso di grandi dimensioni, abbandonato poi sulla scena del crimine, ancora sporco di sangue, proprio a simulare uno scenario differente rispetto a quello accaduto davvero.
Ma non finì qui, poiché essendo rimasto “solo” tramortito a seguito dell’aggressione, venne posizionata sotto il suo corpo, lasciato sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, una carica di tritolo. La campagna elettorale ebbe per lui un riscontro decisamente positivo, in quanto gli elettori votarono ugualmente per Impastato, anche dopo la sua morte, per rispetto, per ricordarlo, per tenere alti i suoi valori, ma soprattutto per cercare di restituire una voce a chi purtroppo non ce l’aveva più.
Le ipotesi
Diverse e le più disparate furono le ipotesi, congetture e ricostruzioni, che cercavano di dare una giustificazione/spiegazione di quanto accaduto. Tra l’altro in quel periodo, Stampa, Forze dell’Ordine e Magistratura, affermarono che si fosse trattato di un attentato architettato proprio da lui stesso, nel quale poi un sarebbe rimasto coinvolto.
In seguito si parlò di teorie del suicidio, dopo il ritrovamento di una lettera recuperata a casa della zia, nella quale però non si evinceva alcuna simile intenzione. Insomma, per loro si trattava di una sorta di “pianificazione della propria morte”.
Verità e giustizia
La famiglia continuava a chiedere la verità per Peppino Impastato. In particolare sua madre, Felicia Bartolotta, insieme al fratello, Giovanni Impastato, non diedero mai valenza a tutto ciò che si diceva/sentiva in giro. Anzi, entrambi si batterono affinché venisse fatta giustizia. Proprio grazie a loro infatti, fu individuata la matrice mafiosa del delitto. Inoltre, decisero di porre immediatamente fine nei rapporti con la parentela.
Successivamente, dopo la raccolta di documentazione, denunce presentate e ricerche varie, venne riaperta l’inchiesta giudiziaria, chiusa quasi subito all’inizio della vicenda. Il caso e le indagini furono aperte e chiuse per svariati anni. In ultimo, finalmente, venne individuato come mandante dell’omicidio proprio Gaetano Badalamenti, insieme al suo vice, Vito Palazzolo.
Similitudini tra Aldo Moro e Peppino Impastato
Poche ore più tardi a Roma, all’interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, fu ritrovato dalle Forze dell’Ordine il corpo senza vita del politico e giurista Aldo Moro.
Quest’ultimo, venne rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo dello stesso anno, e in seguito fu assassinato esattamente a 55 giorni dalla cattura. Il giorno della cattura, ebbe luogo la presentazione del nuovo governo, il quarto guidato da Giulio Andreotti. Infatti l’auto, una Fiat 130, che trasportava Moro dalla sua abitazione, situata nel quartiere Trionfale, zona Monte Mario di Roma, fino alla Camera dei Deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse, precisamente all’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa.
Il rapimento delle Brigate Rosse
Secondo una prima ricostruzione dei fatti, che poi divenne versione ufficiale della vicenda, e dopo aver sentito le dichiarazioni e testimonianze degli arrestati, si giunse ad una conclusione. Quattro uomini delle Brigate Rosse travestiti da avieri dell’Alitalia, uccisero i cinque uomini della scorta del Presidente della Democrazia Cristiana (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). In seguito lo sequestrarono, facendolo rimanere recluso per quasi due mesi.
Qualche tempo dopo, il magistrato e consulente per la commissione parlamentare d’inchiesta sul Caso Moro, Guido Salvini, negli anni tra il 2014 e il 2018, avanzò una supposizione. Secondo lui infatti a partecipare al rapimento ci sarebbero state anche altre persone.
In base alla rielaborazione del Memoriale Morucci, Moro venne recluso dentro un covo in via Camillo Montalcini. Però, tenendo in considerazione le versioni più recenti, supportate da nuove testimonianze e metodi d’indagine aggiornati e all’avanguardia, sarebbero emerse delle “contraddizioni” nelle confessioni dei brigadisti, le quali lasciavano intendere che invece Moro sarebbe stato trasportato da un covo all’altro.
Il sequestro di 55 giorni e l’uccisione
I brigadisti si concentrarono poi sull’uccisione di Aldo Moro. Intanto gli dissero di salire all’interno del cofano di una Renault 4 rossa, rubata in precedenza nel quartiere Prati all’imprenditore Filippo Bartoli. Poi gli ordinarono di coricarsi e coprirsi con una coperta, sostenendo di volerlo trasportare in un altro luogo. In ultimo invece, gli spararono dodici colpi di proiettile.
Come accennato in precedenza, il corpo venne ritrovato la mattina del 9 maggio in via Caetani. Fu abbandonato proprio in modo emblematico e simbolico, vicino a piazza del Gesù. Qui infatti vi erano sia la sede nazionale della Democrazia Cristiana, che quella del Partito Comunista Italiano, sito nelle vicinanze di via delle Botteghe Oscure.
Oggi, ricordando Aldo Moro e Peppino Impastato
Ogni anno viene celebrata questa ricorrenza proprio in memoria di due eroi, che hanno cercato di rendere l’Italia e la Sicilia dei posti migliori, anche per le generazioni future, come dimostrazione ed esempio di valori e dell’importanza della legalità e per non dimenticare tutte le vittime di terrorismo. Infatti cadenzatamente, il 9 maggio, vengono organizzati incontri, mostre e iniziative di vario genere.