Il lato oscuro dello sport

Il lato oscuro dello sport

ITALIA – Chiunque abbia dedicato una parte consistente della propria vita allo sport ha imparato a conoscere sulla propria pelle tutte le dinamiche che incidono nella vita di un atleta: rinunciare alle uscite serali, impegnarsi negli studi o anticipando le pratiche a lavoro per poter letteralmente scappare sul campo di allenamento o sul ring, curare l’alimentazione con meticolosa abnegazione, vivere l’adrenalina dell’incontro, della partita, della corsa e ancora l’ebrezza della vittoria, la delusione cocente e a volte la rabbia per la sconfitta. Una fondamentale palestra di vita.

Tutto ciò, vi ha reso innegabilmente “persistenti”, nella sua accezione più pura e, con le dovute proporzioni, eroica del vocabolo, ma a questo proprio non eravate preparati, mi riferisco al “Lato oscuro dello sport”.

Condividere la propria passione con i figli o cercare di assecondare i loro talenti sportivi, non dovrebbe mai accompagnarsi al timore che qualcuno, nel caso di specie il “coach”, possa violarne irrimediabilmente la dignità, distruggendone la spensieratezza e in alcune drammatiche circostanze l’intera esistenza.

Partiamo da un assunto necessario: documentarsi su questo tema è tutt’altro che agevole in virtù di una coltre di omertà che ancora oggi avvolge il mondo dello sport.

Il fenomeno è poco conosciuto, perché poche sportive ancora oggi denunciano a causa delle minacce alla propria carriera. Ma gli abusi sessuali sui minori e sulle donne nello sport sono una piaga che esiste.

In Italia ci sono 44 federazioni, con altrettanti regolamenti, e nessuno prevede esplicitamente di punire questi comportamenti. Per questo motivo nell’ultimo periodo sono nate diverse proposte di riforma, tra cui l’istituzione di un Tribunale ad hoc.

Troppi allenatori, oggi, restano ancora totalmente impuniti e in troppe occasioni continuano ad esercitare ancora indegnamente questa professione.

I dati sul fenomeno, a causa dell’omertà derivata dalla paura e dalla scarsa sensibilizzazione sul tema, sono incompleti. Ma quelli disponibili sono già allarmanti: 1 atleta su 7, prima della maggiore età, ha dichiarato di aver subito abusi sessuali o molestie. In Italia il fenomeno è tanto esteso quanto ambiguo, perché se è vero che ci sono trenta processi ogni anno verso gli allenatori sportivi, il numero di denunce è ancora molto basso rispetto alla realtà.

I numerosi casi di denunce di molestie e abusi sessuali hanno fatto emergere la necessità di creare un ente indipendente dalle federazioni, dalla Fifa, da qualsiasi altra istituzioni, dove in modo anonimo gli atleti possano denunciare gli abusi e sentirsi protetti.

Negli Stati Uniti questo ente esiste già e si chiama U.S. Center for Safesport, un organismo indipendente che giudica i reati sessuali ed ha il potere di radiare in modo autonomo. E’ nato per evitare che accadessero altri casi vergognosi di abusi nello sport come lo scandalo tristemente noto del medico della federazione ginnastica artistica americana Larry Nassar. Una condanna arrivata alla fine di un processo storico, dove avevano partecipato più di 100 atlete, che nel corso di decenni Nassar era riuscito a molestare.

Il tema dei certificati antipedofilia è uno tra gli aspetti più discussi e sotto certi aspetti controversi della vicenda. Sarebbe doveroso chiedere ad allenatori, ai dipendenti delle società sportive e a chiunque ruoti in torno agli atleti, i carichi pendenti, perché chi si macchia di reati a sfondo sessuale o tenga comportamenti eticamente inadeguati e quindi molesti dovrebbe essere radiato per sempre dalla professione di allenatore. In questi anni molte persone condannate hanno continuato ad esercitare il loro mestiere nell’impunità, proprio perché pur esistendo una regola, non sempre è stata applicata.

Un altro tema importante riguarda la necessità di alzare i tempi della prescrizione ad almeno dieci stagioni sportive dal compimento dell’illecito.

Gli illeciti disciplinari vengono inquadrati come violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità, pertanto la prescrizione ha una durata di quattro anni, quindi accade che molte vittime di abusi si rivolgano alle autorità o chiedano aiuto quando l’illecito è già in prescrizione.

Per tale ragione e per la gravità delle condotte contestate sarebbe auspicabile che questi reati nello sport diventassero imprescrittibili.

A questo quadro generale, ed insopportabile, di impunità si aggiunge il fattore culturale, una sorta di omertà sportiva che nega sempre, rimuove e minimizza gli episodi di molestie e, aspetto ancor più grave, colpevolizza le vittime che denunciano.

È il caso della ciclista Maila Andreotti, campionessa con ben 20 titoli italiani vinti nelle varie competizioni.

Dopo esser stata sentita in procura, in data 10 ottobre 2019, e aver denunciato, anche agli organi di stampa, gravissime “abitudini” da parte dei coach della nazionale di ciclismo, anziché esser sostenuta e difesa, diviene oggetto di una campagna denigratoria senza precedenti, schiacciata da un sistema che non ammette replica, né tantomeno Giustizia.

Un caso preceduto da tantissimi altri, rimasti purtroppo impuniti.

P.S.
Per molestie sessuali si intende qualsiasi comportamento a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento fondato sull’appartenenza di genere, indesiderato dalla persona che lo subisce e lesivo della sua dignità. Determinante non è l’intenzione di chi compie l’atto, ma il modo in cui il comportamento è percepito dalla persona interessata. Non si tratta di una storia di seduzione o d’amore. La molestia sessuale può manifestarsi sotto forma di parole, gesti o atti umilianti.

 

 

 

 

 

Avvocato Alessandro Numini