Generale dalla Chiesa, il ricordo indelebile di quando la mafia uccise la Sicilia onesta

Generale dalla Chiesa, il ricordo indelebile di quando la mafia uccise la Sicilia onesta

PALERMO – Del 3 settembre 1982 si ricorda chiunque. È una di quelle date simbolo che difficilmente passano inosservate… Chi è abbastanza adulto rivive le sensazioni evocate dagli eventi di quella tragica sera di fine estate, chi è troppo giovane non può ricordare ma sa. Sa che quella sera tre persone trovarono la morte a Palermo: il generale dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo (deceduto 12 giorni dopo in ospedale).

La strage di via Carini fu solo una di una lunga serie, una scia di sangue voluta dalla “mano assassina” della mafia per mantenere saldo il potere in Sicilia. Quell’omicidio plurimo, però, risvegliò le coscienze dormienti dei siciliani e della classe dirigente, rivelando le conseguenze dello strapotere dei clan e di un silenzioso “abbandono”.

Dopo ben 39 anni, il ricordo del generale dalla Chiesa rimane indelebile. È una di quelle figure che ancora oggi rappresenta l’utopia di una Sicilia onesta, lontana dalla criminalità, soprattutto quella subdolamente nascosta nella banale quotidianità.

Il generale dalla Chiesa, dalla Resistenza ai 100 giorni a Palermo

Carlo Alberto dalla Chiesa era un uomo, ma anche un militare. Un padre e marito, ma anche una persona in divisa pronta a contrastare tutto ciò che ostacolava democrazia, libertà e onestà. Nato nel 1920 a Saluzzo (Piemonte), intraprese la carriera nell’Arma come il padre. La sua prima occasione per fare la differenza arrivò durante la Seconda guerra mondiale, quando partecipò alla Resistenza contro l’oppressione nazi-fascista.

Le medaglie non erano il suo obiettivo. Garantire la legalità lo era. Per questo, dopo la guerra, fu destinato a due terre meravigliose ma che con la criminalità organizzata, purtroppo, hanno da sempre una storia complessa: la Campania e la Sicilia. Nella prima contrastò il banditismo, nella seconda Cosa nostra. Due realtà diverse ma drammaticamente vicine, ugualmente deleterie.

In Sicilia arrivò nel 1949. L’allora capitano dalla Chiesa indagò sull’omicidio del sindacalista socialista Placido Rizzotto, riuscendo a incriminare il boss Luciano Liggio. Conobbe poi Pio La Torre, politico e sindacalista legato a dalla Chiesa dal tragico destino di vittima di mafia.

Divenuto colonello, tornò in Sicilia dal 1966 al 1973 per reggere il comando della Legione carabinieri di Palermo. Fu in quegli anni che dalla Chiesa iniziò a interessarsi con maggiore intensità al fenomeno Cosa nostra. Capì presto che dietro l’apparente “silenzio” c’era una mafia sempre più potente, destinata a dare vita a una “guerra” distruttiva nell’indifferenza generale. Il colonnello iniziò anche una collaborazione con la Commissione parlamentare antimafia, il cui risultato più prezioso fu il “Rapporto dei 114” (1971).

Dopo un periodo di attività intensa per contrastare le Brigate Rosse, Carlo Alberto dalla Chiesa fu nominato Prefetto di Palermo nel 1982. Iniziarono nell’aprile di quell’anno i 100 giorni che lo portarono alla morte. In quel periodo dalla Chiesa confermò ciò che già sapeva da tempo: che “La mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana” e che senza istituzioni presenti non è possibile contrastare un potere consolidato territorialmente.

La strage di via Carini, le indagini e le condanne

Le indagini di dalla Chiesa e dei suoi collaboratori permisero alla Procura palermitana di ottenere il celebre “Rapporto dei 162“. Il generale aveva ricostruito l’organigramma delle famiglie mafiose del capoluogo siciliano. Un affronto che sfidava direttamente i boss, che risposero con la solita arma: la violenza.

La chiamarono “Operazione dalla Chiesa“, quella strage che represse nel sangue i tentativi del generale di costruire una Sicilia onesta e libera dalla criminalità organizzata. Poco dopo le 21 del 3 settembre 1982, una BMW affiancò l’auto del generale e il killer sparò a raffica con un Kalashnikov AK-47. Per il Prefetto e la moglie Emanuela, sposata in seconde nozze, non ci fu niente da fare: un abbraccio finale, straziante quanto straordinariamente umano, simboleggia l’amore che va oltre la morte e la paura.

Emanuela Setti Carraro, moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, morta il 3 settembre 1982 nella strage di via Carini

Emanuela Setti Carraro
Fonte foto: Wikipedia

Anche il veicolo su cui viaggiava l’agente di scorta Domenico Russo venne affiancata da un killer, questa volta in motocicletta. I proiettili ferirono gravemente l’agente. Morì comunque, purtroppo, ma la sua agonia durò 12 giorni.

Il poliziotto Domenico Russo, agente della scorta del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ferito mortalmente nella strage di via Carini il 3 settembre 1982

Domenico Russo
Fonte foto: Wikipedia

Le indagini, come tutte quelle legate agli agguati mafiosi, furono complesse e non prive di domande senza risposta. Tra i mandanti, condannati all’ergastolo, ci sono nomi celeberrimi della mafia siciliana, noti in tutto il mondo: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Hanno ricevuto una condanna anche gli esecutori materiali Vincenzo Galatolo, Antonino Madonia, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci.

L’eredità del generale dalla Chiesa

Cosa ci ha lasciato il generale dalla Chiesa? La consapevolezza che il silenzio e l’indifferenza sono le armi migliori nelle mani della mafia. “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici […] e questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo”, furono le parole del cardinale Pappalardo al funerale.

Nel giorno dell’ultimo saluto alle vittime della strage di via Carini Palermo non era la stessa di sempre. Era agitata, irrequieta, pronta a protestare. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti” è la scritta simbolo di questa Palermo, pronta per la prima volta a riconoscere il volto crudele della mafia. Apparsa proprio vicino al luogo della tragedia, è il simbolo di una Sicilia onesta che sogna di non essere più invisibile e immobile.

Dalla cultura popolare all’antimafia: ricordare le vittime di via Carini

Il generale dalla Chiesa è diventato velocemente simbolo della lotta contro la mafia. Documentari, film, libri… Sul Prefetto di Palermo si trova di tutto. A ricostruire la figura ci hanno provato prodotti televisivi/cinematografici come “Cento giorni a Palermo” di Giuseppe Ferrara e la miniserie “Il generale dalla Chiesa” con Giancarlo Giannini. Esistono poi decine di citazioni sul web, ognuna delle quali restituisce una parte del dalla Chiesa uomo e/o del dalla Chiesa militare.

Chiunque può accedere agli insegnamenti di dalla Chiesa. I più giovani, coloro che non hanno avuto l’onore di conoscerlo in vita, possono portare avanti l’impegno del generale. Per ricordare non solo dalla Chiesa ma anche chi, sposando i suoi valori, è morto prima/con/dopo lui ci sono molti strumenti. I più potenti, però, sono l’azione e la memoria. E proprio per tenere viva quest’ultima si riportano le parole della Medaglia d’oro al valor civile dedicata al generale dalla Chiesa, parole che invitano a conoscere e riflettere per una Sicilia (e un’Italia) migliore:

“Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l’incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell’odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere. Palermo, 3 settembre 1982”.

Fonte foto Wikipedia