Francesco Deliziosi presenta “Don Pino Puglisi se ognuno fa qualcosa si può fare molto”

Francesco Deliziosi presenta “Don Pino Puglisi se ognuno fa qualcosa si può fare molto”

PALERMO – Un libro dedicato a padre Pino Puglisi, che sembra scritto da lui stesso. Questo l’omaggio del suo autore, Francesco Deliziosi, caporedattore del Giornale di Sicilia,  buon amico del sacerdote – ora beato – che celebrò perfino le sue nozze. Presentato ieri presso la libreria “Tantestorie” di via Ludovico Ariosto di Palermo, questo volume, che deve il titolo ad una frase che don Pino amava ripetere, ha lo scopo, per usare le parole dell’autore, di “aggiungere qualcosa ai vari testi dedicati a 3P, come padre Puglisi amava farsi chiamare, per far conoscere la figura di quest’uomo straordinario a chi non ha avuto occasione di conoscerlo quando era ancora in vita. Infatti, sfogliando il volume – compreso l’indice,  548 pagine, ndr – è possibile leggere gli scritti privati di don Pino, come il semplice foglietto che egli scrisse, appena quindicenne, per chiedere di diventare sacerdote. La voglia di comunicare di don Puglisi era talmente grande che, se non l’avessero ucciso, oggi avrebbe sicuramente un profilo Facebook. Per questa ragione, qualche anno fa, alcuni amici di don Pino, tra cui io, abbiamo deciso di aprirgliene uno, per gioco. Entro breve tempo abbiamo constatato l’aumento esponenziale dei mi piace e, ad oggi, abbiamo superato i 54mila“.

Tra gli intervenuti alla presentazione del volume, edito da Bur, il prof. Giuseppe Savagnone, responsabile del blog diocesano www.tuttavia.eu che ha descritto padre Puglisi come “un sacerdote del piano terra”: “La Chiesa, per come la vedo io, è come un enorme palazzo che vede al proprio vertice i vescovi, gli alti prelati e le lettere pastorali. Don Puglisi invece secondo me, sta meglio al piano terra, dove si trovano gli ultimi, gli scarti. Lui, a Brancaccio soprattutto, ascoltava proprio “gli scarti” delle periferie abbandonate, gli ultimi dei quali non si interessava nessuno. Abbiamo un estremo bisogno di persone come Puglisi, che non era un eroe né tantomeno un prete antimafia, etichetta che lui stesso respingeva. Viveva in grande sobrietà, mangiava scatolette per risparmiare, e diceva sempre: “Il mio frigo può essere vuoto, ma il pieno alla mia Uno rossa non deve mancare, così se qualcuno mi chiama, posso sempre andare”. Lui era un uomo normale, con un grandissimo senso della trascendenza, dell’Eucarestia. Religiosissimo, pregava e leggeva molto, ma non era un prete di quelli che descrivono la religione secondo un modello ideale. Lui guardava alla realtà quotidiana, ascoltando tutti, con quelle grandi orecchie che aveva. Oggi la Chiesa istituzionale, non ascolta. Si, è vero, con il cardinale Pappalardo c’è stata una svolta nel parlare di mafia, ma nonostante questo non c’è ancora quel cambio di mentalità tra la gente. Manca la funzione educativa che don Pino sapeva usare tanto bene. Perfino la ragione della sua beatificazione ‘in odium fidei’ cioè in odio alla fede, va interpretata. La mafia, quando lo uccise, se ne vergognò. Tentò in vari modi di sviare le indagini, simulando una rapina e ricorrendo anche altri espedienti, tutti caduti nel vuoto. Ma la ‘fidei’, la fede in questo caso, è quella mafiosa. La mafia infatti, è come una religione all’interno della quale ogni boss si sente un dio. Don Pino, educando la gente al disprezzo della mafia, della vita facile, priva di valori morali e di cultura, andò contro quella ‘religione’ e questo la mafia non poté più tollerarlo”.

Francesco Deliziosi continua: “Quando ho deciso di scrivere questo libro, sono andato alla ricerca di tutti i materiali più significativi della vita di padre Puglisi. Io e mia moglie l’abbiamo seguito dal ’90 fino al ’93, anno purtroppo della sua morte. Quegli anni furono molto duri per don Pino, al punto che decidemmo di regalargli una segreteria telefonica che gli permettesse di dormire tranquillo, dato che il suo telefono squillava continuamente per via delle minacce che riceveva. Tra i capitoli del libro, ve ne sono alcuni che possono essere letti singolarmente, come quelli relativi all’amicizia, all’amore e – questo mi sta molto a cuore – alla povertà. Quando Papa Bergoglio, all’inizio della sua missione, disse di volere una Chiesa povera e per i poveri, mi ha ricordato molto don Puglisi. Lui aveva una Uno rossa, comprata al mercato dell’usato, viveva con poco e quel poco gli bastava. Una cosa che mi ha colpito di lui, è che durante la Messa non si sentiva mai il rumore dei soldi al momento dell’offertorio. La cesta per le offerte stava all’ingresso della chiesa e chi voleva, donava lì. Don Pino diceva di non sopportare il rumore dei soldi durate la santa Messa. A chi mi chiede – conclude – perché padre Puglisi non scappò, mettendosi in salvo, rispondo che la Chiesa, nella visione di don Pino, non era verticistica ma circolare: in essa, tutti erano uguali, con in centro la figura di Gesù Cristo. Ecco, don Pino guardava a Gesù, e portava avanti il suo impegno religioso e sociale, spinto dalla convinzione di portare a termine il suo compito, con grande senso del dovere”.

Al prof. Savagnone il compito di concludere la presentazione, con una domanda – monito rivolta a tutti i presenti: “Credo che il miglior modo di rendere omaggio alla figura di padre Puglisi, sia quello di interrogarci quotidianamente, facendo ognuno un breve esame di coscienza e domandandoci: cosa posso fare, per tentare di somigliare a padre Puglisi? Cosa faccio io, nel mio piccolo, per aiutare gli altri?